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268 l'istoria del concilio di trento


occuparlo intieramente, onde non averebbe potuto attender alla casa: però con molto mal animo si risolvè di non differir piú la convocazione. Onde a’ 20 di ottobre tenne una congregazione de cardinali, dove diede conto della risposta data dal re di Francia a don Antonio di Toledo, di quello che il re a lui scriveva, e del negoziato del cardinale di Tornon, aggiongendo un altro novo avviso di Francia, che, quantunque il concilio generale si apri, non sono per andarvi, se li protestanti non consentiranno essi ancora di riceverlo. Le qual cose misero grandissima confusione, temendo tutti che, se ben s’apriva il concilio generale, la Francia nondimeno fosse per far il nazionale, dal che in consequenzia ne nascesse alienazione dall’obedienzia della sede apostolica ed esempio al rimanente delle nazioni cristiane di alienarsi similmente, o con volontá o senza volontá de’ loro prencipi.

Da alcuni anco era molto stimato che era stato protestato al Cardinal di Trento che non dovesse allargarsi in offerir quella cittá, ma raccordarsi che l’imperator n’è patrone, senza la volontá del quale non può né deve disponer della cittá in tal affare; il qual imperatore si era dechiarato di voler onninamente far la dieta prima. Dava ancora gran pensiero quello che scriveva don Antonio di Toledo, che tutti li grandi e li vescovi stessi fomentavano le opinioni nove per assettare e aumentare le cose loro. Con tutto questo nondimeno l’opinione de’ cardinali tutti, eccetto che quel di Ferrara, fu che il concilio s’aprisse, levando la suspensione; e il pontefice disse di volerlo fare per San Martino. E considerando bene li pericoli imminenti, e le speranze di superarli, risolse in se medesimo (e consolò anco con questo li cardinali e altri dependenti suoi) che il male sarebbe stato ben grande alla Francia, ma poco alla sede apostolica, la qual finalmente averebbe perso poco, non cavandosi dall’espedizione di quel regno piú di venticinque mila scudi all’anno, essendo dall’altro canto grandissima l’autoritá del re nel distribuir li benefici, concessali dalli pontefici, la qual egli perderebbe, poiché, levata l’autoritá pontificia, entrerebbe la Prammatica,