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libro secondo - capitolo vii 371


venti, acciò esalassero parte del calore, poi con destro modo si oppose, dicendo che era ben necessario farlo, poiché il mondo tutto era in quell’espettativa, ma anco conveniva farlo in tempo opportuno; che la difficoltá era stata trattata con troppo calore, e in molti aveva eccitato piú gli affetti che la ragione; onde era necessario lasciar sbollire quel fervore e interponer un poco di tempo, tanto che, scordati delle contenzioni, vivificata la caritá, si dia luoco allo Spirito Santo, senza il qual non si può decider la veritá. Che la Santitá del sommo pontefice, la qual con dispiacere ha inteso le contenzioni passate, ricerca l’istesso per poter egli ancora far discuter la materia in Roma e aiutar la sinodo di conseglio. Concluse in fine, con parole piú resolute di quello che si doveva inferire da cosí modesto principio, che non se ne parlasse piú inanzi la sessione, che cosí era risoluta volontá del papa, ma ben si attendesse alla riforma degl’inconvenienti che sono stati causa d’introdur l’abuso di non risedere. Questa mistura di remostranze e imperio fu causa che da alcuni delli padri, che dopo mandarono trattati in stampa in questa materia, fosse detto e posto in stampa che dalli legati era stato proibito il parlar di tal questione, e da altri fosse negato con invettiva contra li primi, dicendo che derogassero alla libertá del concilio. Fu, per fine della congregazione, risoluto di ripigliar le cose tralasciate nella precedente sessione, e trattare di levar gli impedimenti che costringono a non risedere; fra’ quali occorrendo, come principalissimo, la pluralitá delli benefici, essendo impossibile riseder in piú luoghi, si deliberò trattar di quella.