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libro secondo - capitolo vii 359


In fine, che per far saper ad ognuno non solo la dottrina da seguire, ma anco quella che debbe fuggire, soggionge li canoni contra chi dice:

I. Che l’uomo può esser giustificato senza la grazia per le forze della natura umana o per la dottrina della legge.

II. Che la grazia sia data per viver bene con maggior facilitá e meritare la vita eterna, potendo l’istesso il libero arbitrio, ma con difficoltá.

III. Che l’uomo possi creder, amare, sperar o pentirsi come conviene, senza la prevenzione e aiuto dello Spirito Santo.

IV. Che il libero arbitrio eccitato da Dio non cooperi per disporsi alla grazia, né possi dissentir volendo.

V. Che dopo il peccato d’Adamo il libero arbitrio sia perduto.

VI. Che non sia in potestá dell’uomo il far male, ma cosí le cattive come le buone opere avvengano non solo per divina permissione, ma per sua operazione propria.

VII. Che tutte le opere fatte innanzi la giustificazione siano peccati, e tanto piú l’uomo pecchi quanto piú si sforza per disponersi alla grazia.

VIII. Che il timor dell’inferno, che ci fa astener dal peccare o ricorrere alla misericordia di Dio, sia peccato.

IX. Che l’impio sia giustificato per fede sola, senza preparazione che venga dal moto della sua volontá.

X. Che l’uomo sia giustificato senza la giustizia meritata da Cristo, o vero sia giusto per quella formalmente.

XI. Che sia giustificato per sola imputazione della giustizia di Cristo, o per sola remissione dei peccati, senza la grazia e caritá inerente, o vero che la grazia della giustificazione sia solo il favor divino.

XII. Che la fede qual giustifica non sia altro che la confidenzia della misericordia, che rimette i peccati per Cristo.

XIII. Che per la remissione dei peccati sia necessario il credere che siano rimessi, senza dubitar della propria indisposizione.