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358 l'istoria del concilio tridentino


IX. Che i peccati non sono perdonati a chi si vanta e si riposa nella sola fiducia e certezza della remissione: né si debbe dire che quella sola fede giustifichi; anzi ognuno, sí come non debbe dubitare della misericordia di Dio, meriti di Cristo ed efficacia dei sacramenti, cosí, risguardando la propria indisposizione, può dubitare, non potendo con certezza di fede infallibile saper d’aver ottenuto la grazia.

X. Che li giusti con l’osservanza delli comandamenti di Dio e della Chiesa sono maggiormente giustificati.

XI. Che non si può dire i precetti divini esser impossibili al giusto, il qual se ben cade nei peccati veniali, non resta però di esser tale; che nessun debbe fermarsi nella sola fede, né dire che il giusto in ogni buon’opera faccia peccato, o vero pecchi se opera per fine di mercede.

XII. Che nessuno deve presumer di esser predestinato con credere che il giustificato non possi piú peccare, o peccando debbia promettersi la resipiscenza.

XIII. Parimente che nessun può promettersi assoluta certezza di perseverar sino al fine; ma metter la speranza nell’aiuto divino, il quale continuerá, non mancando l’uomo.

XIV. Che li caduti in peccato potranno riaver la grazia, procurando coll’eccitamento divino di recuperarla per mezzo della penitenzia, la quale è differente dalla battismale, contenendo non solo la contrizione, ma la sacramental confessione e assoluzione sacerdotale, almeno in voto; e oltra ciò la satisfazione per la pena temporale, la qual non si rimette sempre tutta insieme, come nel battesmo.

XV. Che la grazia divina si perde non solo per l’infedeltá, ma per qualonque altro peccato mortale, quantonque la fede non sia per quello perduta.

XVI. Propone anco alli giustificati l’esercizio delle buone opere, per le quali si acquista la vita eterna, come grazia promessa dalla misericordia di Dio e mercede debita alle buone opere per la divina promessa. E conclude che questa dottrina non stabilisce una giustizia propria nostra, repudiata la giustizia di Dio, ma la medesma si dice nostra per esser in noi; e di Dio, essendo da lui infusa per il merito di Cristo.