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74 | i processi di roma |
— Io sono venuto, caro figliuolo, disse con voce benigna, a vedere se le meditazioni del carcere vi hanno insegnato la via della prudenza. Voi per parte vostra già siete confesso di aver presa una parte, attiva nella nefanda ribellione del mese passato, ma ostinatamente vi siete ricusato di parlare dei complici e degli istigatori; e questi appunto sono quelli che importa conoscere alla giustizia.
— Io posso rispondere del fatto mio, non di quello degli altri, rispose Curzio fieramente.
— Pensate, figliuolo, riprese il giudice col medesimo tuono di paterna mansuetudine; pensate che quando si rendesse palese che voi, suddito del Santo Padre, istigato e traviato per opera dei perversi venuti dal di fuori, v’incamminaste vostro malgrado nella via della perdizione, tutto potreste sperare dalla sovrana clemenza.
— Io solo, liberamente, e di mia propria volontà, presi parte alla rivolta e l’unico fine che mi proposi fu quello di abbattere il trono del papa, e congiungere Roma all’Italia!
— Badate, non vi lasciate vincere dalle suggestioni dell’orgoglio; non rigettate da voi stesso la misericordia del Santo Padre, ch’è già disposta e pronta a venire in vostro soccorso. La vostra salvezza sta in vostra mano, figliuolo; basta che diciate le cose come stanno. Non è egli vero che foste spinto a ribellarvi al vostro legittimo sovrano dai malvagi venuti appositamente per sedurre e traviare i fedeli Romani? Se così è veramente, la vostra colpa è molto leggera, perchè voi siete giovane e facile ad essere ingannato. In tal caso, io posso impegnarmi di ottenere in vostro favore il benefizio di una grazia sovrana.
— È l’impunità che voi mi offrite? esclamò il giovane scuotendo in atto d’indignazione le mani avvinte dalle manette. L’impunità!... Ma non sapete che io non curo nè la prigione, nè il patibolo? Fatemi pure mozzare la testa; io sono in vostre mani, voi potete farlo impunemente. Ma non vi lusingate che per le fallaci promesse di una grazia disonorante, io m’induca a tradire la santa causa della libertà. Oh! comprendo bene la ragione per cui vorreste da me le risposte che mi chiedete! Questo vostro processo è diretto a mostrare che il movimento della insurrezione di Roma fu opera di gente venuta di fuori; che i cittadini romani non v’ebbero parte alcuna, o l’ebbero affatto secondaria. Vorreste far credere al mondo che i Romani adorano il papa e lo scettro dei preti! Impostori! numerate i prigionieri politici, de’ quali rigurgitano le vostre prigioni, e vedrete quanti sono i sudditi fedeli che l’amoroso pontefice serba all’ergastolo e alla galera! Romani siamo noi che impugnammo la armi contro il potere sacerdotale; Romani furono i morti del Campidoglio, di porta San Paolo, di Trastevere, ed essi e noi, morti e viventi, non abbiamo che una voce per esecrare il governo del papa e i suoi infami ministri. Scrivete, signor cancelliere, scrivete, questa è la mia confessione.