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temizzati e scomunicati tutti quanti i framassoni dei due emisferi; esordì nel governo formandosi un ministero di repubblicani, e termina il suo regno ricevendo dai gesuiti l’imbeccata dei sillabi e delle encicliche.

Nessuno è giunto come lui all’apice delle benedizioni, per piombare poscia nel più profondo dell’abbominazione. Fuvvi un tempo in cui il suo nome fece il giro di tutta la terra, accompagnato da un eco di riconoscenza e di osanna; oggi esso è segno alle maledizioni di un popolo intero. Quella mano che nel 1846, scrivendo l’amnistia dei patrioti, diede il segnale della grande riscossa italiana, quella stessa mano ha segnato il comando esecutivo di tante sentenze di morte, ha consegnato tante teste al carnefice!

Che cosa è dunque quest’uomo? È il fariseo, che ravvolge il coltello traditore nelle pieghe del manto sacerdotale? È il tiranno assetato di sangue, che numera con gioia feroce le vittime scannate a’ suoi piedi? È il prepotente erede d’Ildebrando che agogna la signoria del pastorale sopra la spada, e vuole elevare la cattedra di Piero sovra i troni più alti dei re?

Niente di tutto questo. Pio IX non è altro che un uomo volgare, che ha tutte le aspirazioni e gli stimoli della vanagloria, senza quella forza invincibile di volontà che è fonte e sostegno delle grandi ambizioni.

Nel principio del suo regno, quando egli bandì le riforme liberali, il suo primo desiderio fu quello di procacciarsi la fama dell’innovatore benefico, dell’uomo clemente e generoso. Fu allora che il partito retrogrado spinse le cose all’estrema rovina: quell’uomo debole si smarrì in faccia alle conseguenze della politica da esso inaugurata, e si lasciò andare come perduto in braccio di quel partito. Riposto sul trono riconquistato dalle armi straniere a prezzo di tanto sangue, il Papa non doveva regnare più che di nome. Il cardinale Antonelli, interprete della grande maggioranza dei cardinali, fu il vero sovrano; non così però, che anch’esso non dovesse subire lo sterminato potere dei gesuiti, che sopra ogni altro domina in Roma, e contro il quale nessuna potestà ecclesiastica potrebbe impunemente cozzare.

Coloro che governano in vece del Pontefice, conoscendone intimamente il carattere, blandiscono la sua vanità in tutti i modi. Una turba di fanatici intuona incessantemente un coro inesausto di lodi sul suo sistema di governo, che è appunto quello che piace ai dominatori gesuiti. Ed egli, vecchio acciaccato, e indebolito nelle facoltà della mente siccome nelle fibre, si compiace della definizione dei dommi, della pubblicazione dei memorandi, e della convocazione dei concilii, come di cose che devono raccomandare il suo nome alla posterità, sogno supremo e vaneggiamento dell’anima sua. E dopo un ricevimento di ufficiali, o una rivista di artiglierie sui prati della Farnesina, passa a far pompa dei paramenti levi-