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124 E. SALGARI


— Ancora un po’ colonnello, — rispose il gigante, che si era finalmente sbarazzato dei finimenti e stava tagliando le bardature dei due cavalli di testa. — Si è guastata la corriera?

— Non mi pare.

— Le ruote?

— In ottimo stato.

— Allora potremo continuare.

— Non tanto presto. I tuoi mustani sono così spaventati che bisognerà accordare loro alcuni minuti di riposo. E poi tutti i tiranti sono in pezzi.

— Ho delle funi e ce ne serviremo, colonnello.

— Facciamo presto, corriere, prima che gl’indiani ricevano rinforzi. Mi sembra impossibile che con tutti questi spari non ne siano giunti altri, a meno che non siano tutti impegnati nel Gran Cañon con gli Apaches di Victoria.

— Miss, — aggiunse poscia, — rimanete dietro la corriera, e voi, signori, aiutateci a rialzare questa carcassa.

— Potranno resistere i vostri uomini? — chiese Harris.

— Per un quarto d’ora, lo spero, — rispose Buffalo Bill. — Ohe, voi della scorta, prestateci man forte. Pesa questo veicolo.

Mentre soldati e viaggiatori si affaccendavano a rialzare la corriera, aiutati da Koltar che da solo valeva come cinque uomini, i cow-boys battagliavano furiosamente per ritardare l’assalto delle Pelli Rosse. Stesi dietro i loro cavalli e interamente celati fra le erbe, mantenevano un fuoco vivissimo, massacrando un bel numero di mustani.

I Navajoes, sapendo d’aver a che fare con tiratori formidabili, che di rado sbagliavano i colpi, non avevano ancora osato rimettersi in sella. Avevano invece cambiato tattica.

Non curandosi di perdere i cavalli, poichè ne avevano in abbondanza nei loro villaggi, e ve n’erano ancora parecchi allo stato selvaggio nella prateria, s’avanzavano a piccoli gruppi, tenendosi anch’essi nascosti fra le erbe.

Rispondevano però vigorosamente con le loro carabine e anche coi Winchester, bucherellando la corriera per tutti i versi e sparando a fior di terra nella speranza, di fulminare i cow-boys.

Di quando in quando qualcuno balzava sulla groppa d’un mustano, per meglio scorgere i nemici, poi tornava subito a terra, prima che gli avversari avessero potuto prenderlo di mira.

Quelli che soffrivano erano i cavalli. Esposti al tiro infallibile degli scorridori della prateria, cadevano a due o tre alla volta.

Si inalberavano violentemente, annaspavano l’aria con le zampe anteriori, poi cadevano pesantemente sul fianco, colpiti alla testa.