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LA SOVRANA DEL CAMPO D'ORO | 105 |
— E da chi? — chiesero ad una voce Blunt ed Harris.
— Da una quindicina di viaggiatori che erano giunti a Harper, per la maggior parte vaqueros.
— Vi erano anche dei negri fra di loro? — chiese l’ingegnere.
— Il capo stazione mi disse che ne vide scendere tre o quattro.
— Sono loro! — esclamò lo scrivano.
— Si sono fermati qui? — chiese Harris.
— Non sembra. Avevano dei cavalli sul treno e, appena giunti, si allontanarono. Si crede che siano partiti pel nord.
— Eppure i due che hanno cercato d’attaccare lite con me dovevano far parte di quella banda, — disse Blunt.
— Può darsi che ne abbiano lasciati qui alcuni per sorvegliare il nostro arrivo, — rispose Harris.
— Io vi lascio, signori, vado a vegliare su miss Annie.
— E se quei due si presentano, non esitate a prenderli a colpi di rivoltella, mio caro Blunt.
— Farò scoppiare le loro teste come zucche, signor Harris.
— E noi andiamo subito dal corriere, — disse il colonnello. — Abita poco lontano e lo troveremo in casa.
Mentre lo scrivano si dirigeva verso l’albergo, l’ingegnere ed il vecchio imboccarono una via laterale, aprendosi a fatica il passo fra una torma di cavalli, che pareva fossero giunti poco prima dalle praterie e che un numeroso stuolo di cow-boys si sforzava di mantenere in fila, urlando, bestemmiando e scudisciando senza misericordia.
Dopo aver percorso una cinquantina di passi, il colonnello introdusse il suo giovane amico in un cortile dove parecchi peoni stavano strigliando alcuni splendidi mustani di prateria, di forme perfette.
Sotto una tettoia, un uomo di forme gigantesche, dalla pelle bruna, la barba nerissima e gli occhi lampeggianti, che portava sul capo un berretto tondo di pelle di castoro, il cui lungo pelame gli cadeva sul dorso, e indossava i mistasses, specie di calzoni di pelle di daino cacciati entro alti stivali, stava divorando un enorme pezzo di carne appena rosolata, condita con una salsa che mandava un profumo strano.
Vedendo apparire il colonnello, depose la carne su di una sedia che gli serviva da tavola e s’alzò, salutando.
— Qual vento vi porta qui, signor Pelton? — chiese.
— Un vento forse pericoloso, mio caro Koltar, — rispose il colonnello.
Il gigante lo guardò in silenzio, aspettando che si spiegasse.
— Vi sono delle persone che hanno bisogno di voi e vi pagheranno bene. Voi non avete paura degl’indiani, è vero, Koltar?
— Rajo de Dios, non ne ho mai avuta, — rispose il gigante. —