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telle, raccomandarono al negro di far buona guardia e scesero la scala.

Appena giunti a terra, lo sceicco andò loro incontro e mentre la popolazione, formata per la maggior parte di negri e di mulatti, si gettava in ginocchio, tese le mani verso gli aeronauti, dicendo con molta nobiltà:

— Vi dobbiamo la vita e la nostra città.

— Abbiamo fatto il nostro dovere — disse Matteo in lingua araba.

— Ed io ho voluto far aiutare, da questi generosi europei, i miei connazionali — disse El-Kabir.

— Tu sei un arabo! — esclamò lo sceicco.

— E forse mi conosci.

— Il tuo nome?

— El-Kabir.

— Il trafficante di Zanzibar?

— Sì.

— Molti anni or sono tu devi essere stato qui.

— È vero — rispose l’arabo. — Sono passato di qui parecchie volte con carovane di schiavi.

— Insieme con l’arabo Altarik?

— Sì, insieme con lui.

— E chi sono gli uomini che ti accompagnano? Figli della luna o del sole?

— Sono degli europei — rispose l’arabo.

— E la bestia che montate?

— Non è una bestia, è una macchina che vola come gli uccelli.

— Ah, questi europei! — esclamò lo sceicco, guardando con ammirazione Matteo e Ottone ed inchinandosi dinanzi a loro.

— Signori — disse poscia, — gli abitanti di Mongo sono fieri di accordare ospitalità ai loro salvatori.

Con un gesto fece allontanare gli abitanti che si stringevano addosso agli europei, guardandoli curiosamente, e li condusse in