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il re della montagna 7

Era una vera notte d’inferno, una notte d’orrore, che incuteva spavento agli animali ed agli uomini, e che faceva fuggir sì gli uni che gli altri. Un essere però, malgrado quei soffi impetuosi, malgrado la pioggia imminente, malgrado le valanghe lì lì per cadere, malgrado le folgori prossime a percuotere le rupi, saliva imperterrito la montagna, quasicchè volesse sfidare le ire della natura.

Era questi un uomo di media statura e vigoroso, ma un po’ curvo, con un berrettone di pelle di montone sul capo ed una lunga zimarra di grossa stoffa turchina, serrata ai fianchi da un bellissimo scialle di kascemire di molto valore. Per armi non aveva che un pugnale dal manico d’oro massiccio appeso al lato sinistro, ed un lungo bastone ferrato, al quale appoggiavasi per salire le balze ripidissime del monte.

Il vento, che cresceva di violenza ad ogni istante con ruggiti veramente spaventevoli, faceva svolazzare la sua lunga e bianchissima barba e lo faceva talvolta indietreggiare o deviare, ma quell’uomo, dopo una breve sosta, ripigliava il faticoso cammino, aggrappandosi agli sterpi, piantando il bastone nei crepacci delle rocce, ora ritto e ora curvo fino a terra senza dimostrare fatica alcuna, quantunque avesse sulle spalle più che sessanta inverni.

Era giunto già ad una ragguardevole altezza, quando la burrasca, che da tre quarti d’ora minacciava, scoppiò con furia terribile.

La pioggia, non più trattenuta, cominciò a cadere e con tanta violenza e in tale quantità, che il vecchio in brevi istanti fu inzuppato fino alla camicia. Dall’alto precipitavano muggendo e rimbalzando impetuosi torrenti, trascinanti sassi immani e tronchi d’alberi sradicati.

Parve che tutto d'un tratto la gigantesca montagna, che per secoli e secoli aveva sfidato senza tremare gli uragani, dovesse squarciarsi e trascinare nella rovina l'uomo che la saliva e tutti gli audaci che avevano osato piantar dimora sui suoi fianchi.

Si sgretolavano i macigni e rotolavano giù, rimbalzando di rupe in rupe, cadendo con sordo fracasso nei profondi abissi; piombavano dalle nevose cime le valanghe, tutto distruggendo nel loro fulmineo passaggio; si schiantavano i grossi platani, i faggi, le betulle ed i pioppi; scendevano spumeggiando le acque, fuggendo sotto le boscaglie; urlava e ora ruggiva il vento e scrosciavano le folgori tempestando le granitiche muraglie. Tratto tratto poi, lampi abbaglianti, lividi, rompevano la cupa tenebra, mostrando d’un colpo solo le lon-