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198 capo xix.


regione, poichè non si scorgevano nè porci selvatici, nè babirussi che sono pur tanto abbondanti in certe regioni di quella grande isola.

Verso le tre, mentre attraversavano una piccola pianura, i tre naufraghi fecero una scoperta singolare. Era un albero, un fico pisocarpa, il quale invece di portare sui rami delle frutta, era coperto di strani uccellacci, forniti di un pelame color marrone ma con riflessi rosso-giallastri, grandi come polli e che stavano appesi per le gambe, tenendo il capo in giù. Ve n’era almeno duecento e parevano addormentati, tenendosi strettamente avviticchiati nelle loro ali membranose.

— Cosa sono? chiesero Hans e Cornelio, stupiti.

Pteropus eduli, rispose il capitano, ridendo, o se vi piace meglio, pipistrelli giganti che attendono le tenebre per spiccare il volo.

— Dei pipistrelli così grossi! esclamò Hans. Ma cosa fanno, appesi ai rami di quest’albero?

— Dormono, dopo d’averlo spogliato delle sue frutta, essendo molto ghiotti di quei fichi.

— Devono essere cattivi, questi brutti volatili.

— Niente affatto, Hans.

— So che tutti li temono.

— E hanno torto, poichè invece sono utilissimi, distruggendo un numero considerevole d’insetti nocivi all’uomo, le zanzare e tanti altri che ci succhiano il sangue durante il sonno.

— So che dappertutto si uccidono, zio.

— È vero, questi disgraziati volatili, che sembrano topi volanti, sono esecrati da tutte le popolazioni, senza motivo, o per causa di stupide superstizioni. Da noi usano inchiodarli sulla porta della casa, i bretoni fanno altrettanto perchè credono che quei poveri animali vadano a bere l’olio dei vasi sacri e delle lampade degli altari e le popolazioni dell’Europa meridionale li bruciano vivi, perchè li credono spiriti delle tenebre.

— Dimmi, zio, sono ciechi i pipistrelli? chiese Cornelio. Non si vedono volare che di notte.

— No, ma pare che i loro occhi non siano a loro di alcuna utilità. So che molti si sono provati ad acciecarli, ma pure volavano egualmente, senza mai toccare dei sottili fili tesi