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134 capitolo diciassettesimo

vano le loro scimitarre trinciando colpi a destra ed a manca ed insultavano e sfidavano gli aeronauti i quali si accontentavano di sorridere a quell’impotente rabbia.

— Ci prenderete un’altra volta? — gridò a loro Rokoff, minacciandoli col fucile. — Per ora non abbiamo tempo di occuparci di voi. —

Una scarica violentissima fu la risposta, ma ormai lo Sparviero filava maestosamente sulla prima catena di rocce, attraversando un immenso abisso.

I mongoli s’arrestarono dinanzi a quegli ostacoli insormontabili, continuando a sparare, poi si slanciarono a corsa sfrenata verso l’est.

— Che cerchino di girare le colline? — chiese Rokoff.

— Pare che ne abbiano l’intenzione, — rispose il capitano. — Dovranno però percorrere almeno una quarantina di miglia prima di giungere là dove declinano e poi altrettante e anche più per raggiungerci.

— I loro cavalli non potranno di certo percorrere d’un fiato un centinaio e mezzo di chilometri, — disse Fedoro. — Sono già esausti.

— Mi rincresce, — disse Rokoff. — Questa caccia emozionante m’interessava.

— E se fossimo caduti? — chiese il capitano. — I mongoli non ci avrebbero risparmiati, ve lo assicuro, essendo assai vendicativi.

— Il vostro Sparviero è troppo ben costruito per fare un capitombolo.

— Un guasto poteva avvenire nella macchina. Meglio che la sia finita così, signor Rokoff.

— Ed ora dove andiamo? — chiese Fedoro.

— A gettare le nostre reti nei laghi del Caracorum, — rispose il capitano con uno strano sorriso.

— Tanto ci tenete alle trote di quei laghi, signore? — domandò Rokoff.

— Si dice che siano così eccellenti?

— Le avete assaggiate ancora?

— No, me l’ha detto un mio amico.

— Le giudicheremo, — concluse Rokoff, quantunque non credesse affatto che lo scopo di quella corsa fossero veramente le trote.

Lo Sparviero aveva allora superata anche la seconda