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cimbelino — atto secondo 209


Lord. Sì; questo è un privilegio che appartiene a Vostra Signoria soltanto.

Clot. E questo è quello che io dico.

Lord. Avete inteso parlare d’uno straniero che arrivò alla Corte?

Clot. Uno straniero! e nessuno me ne ha fatto motto?

Lord. (a parte) Tu stesso sei una bestia molto strana; e pure lo ignori!

Lord. Sì, è arrivato un Italiano; un amico, dicesi, di Leonato.

Clot. Leonato! quel bandito d’inferno! costui sarà un altro malandrino. — Ma chi vi ha parlato di questo forestiero?

Lord. Un paggio di Vostra Altezza.

Clot. Sta bene. Ora posso io andare a vedere chi sia egli? lo posso io senza derogare alla mia condizione?

Lord. Voi non potete mai derogare, milord.

Clot. Almeno, credo, non facilmente.

Lord. (a parte) Voi siete un dappoco, da tutti riconosciuto per tale; e le vostre azioni essendo conformi al vostro carattere, non vi fanno derogare.

Clot. Venite, vo’ vedere questo Italiano: quel che oggi ho perduto, stasera lo guadagnerò con lui. Venite; andiamo.

Lord. Seguirò l’Altezza Vostra. (esce Cloten colLord) Come mai una sì astuta diavolessa, qual’è sua madre, ha potuto generare un tale insensato? Una donna, che col suo cervello sconvolgerebbe l’universo; e un figlio di lei, a cui non si riescirebbe mai a far comprendere che togliendo due da venti riman diciotto! — Oimè! povera principessa, divina Imogène, che non soffri tu fra un padre governato da una vile madrigna; una madrigna che intesse frodi continuamente; e un amante per te più odioso dell’esilio del tuo tenero sposo, che ti costringe a un tristo divorzio, opera degna d’abisso? — Ah! soccorra il Cielo alla tua virtù, e consolidi su questa terra il fragile tempio in cui dimora la tua bell’anima, onde tu possa vivere abbastanza per vederti un giorno consorte avventurata e regina di questo vastissimo impero.     (esce)