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atto secondo | 37 |
nostri più prodi cavalieri, spaventati dalla penna de’ loro scribi non osano più andare agli altri teatri1.
Am. Che! fanciulli sono? E chi li sostiene? chi li paga? Continueranno essi la loro professione finchè fatti sian mutoli? Se non pervengono ad essere che volgari comici (ciò che facilmente accadrà, poche essendo le loro doti) non diranno essi poscia che gli scrittori che li esaltano, fanno ad essi ingiuria, inducendoli a declamare contro i successori.
Ros. In fede mia molti piati son già accaduti, e la Nazione non si cura di mantenere la divisione fra di loro. Fu un tempo in cui un autore non poteva essere pagato della sua produzione che dopo essersi ben battuto coi commedianti.
Am. Possibile?
Guil. Molto sangue fu già sparso.
Am. E i fanciulli vinsero?
Ros. Sì, principe; ed Ercole ancora avrebbero vinto.
Am. Non è sorprendente; poichè mio zio è re di Danimarca, e quelli che durante la vita di mio padre si beffavano di lui, spendono ora venti, quaranta, cinquanta, anche cento ducati per avere il suo ritratto in miniatura. — V’è in ciò qualche cosa che non è naturale, se la filosofia potesse scoprirlo.
(Suoni di trombe al di dentro)
Guil. Ecco i commedianti.
Am. Signori, siate i ben venuti ad Elsinoro; venite: datemi mano. I segni ordinari d’un buon accoglimento sono le felicitazioni e le cerimonie. Permettete che in siffatta guisa vi tratti, per tema che i miei riguardi verso gli attori (che costretto sono, ve ne prevengo, di ben accogliere in apparenza) non sembrino maggiori di quelli che uso a voi. Siate i benvenuti. Ma mio zio, che mi è padre, e mia madre, che m’è zia, sono ben decaduti!
Guil. In qual guisa, signore?
Am. Non son pazzo che dal lato del nord, allorchè spira libeccio; e so ben discernere un falco da una cornacchia.
(entra Polonio)
Pol. Salute, gentiluomini!
Am. Udite, Guildensterno... e voi ancora;... ad ogni orecchio un ascoltatore. Quel gran bimbo che là vedete, non è ancora escito di fascie.
- ↑ Il Poeta fa qui allusione al barbaro gusto de’ suoi tempi che preferiva i drammi rappresentati dai fanciulli della cappella del re a quelli che il maraviglioso suo ingegno venìa creando.