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348 | otello |
Qual condotta ho io tenuta, perch’ei m’accagionasse neppure del più piccolo mancamento a’ miei doveri?
(rientra Emilia con Jago)
Jago. Che avete da comandarmi, signora? qual è lo stato vostro?
Desd. Nol saprei dire: coloro che ammaestrano i fanciulli, lo fanno con dolcezza, nè li puniscono che leggiermente: egli poteva garrirmi come un d’essi, perchè divengo, in vero, una fanciulla allorchè sono rimproverata.
Jago. Che fu signora?
Emil. Oimè, Jago! il Generale l’ha tacciata d’impudica, e oppressa di tante ingiurie, che ogni anima dabbene non potrebbe sopportarle.
Desd. Merito io tal nome, Jago?
Jago. Qual nome, bella signora?
Desd. Quello che ella disse che il mio sposo m’avea dato?
Emil. La chiamò impudica. Un pezzente, nel furor dell’ebbrezza, non ne avrebbe detto tanto alla sua prostituta.
Jago. Perchè si è comportato così?
Desd. Nol so; ma posso giurare a Dio che non sono quella ch’ei disse.
Jago. Non piangete, non piangete: oimè! funesto giorno!
Emil. Ha ella lasciato tanti nobili amici, suo padre e il suo paese, solo per udirsi chiamare impudica? non è questa una cosa da piangere?
Desd. È la mia grande sventura!
Jago. Lo punisca il Cielo della sua collera! Ma d’onde precede siffatta frenesia?
Desd. Lo sa Iddio.
Emil. Possa io morire, se non fu uno scellerato che, per ottener qualche mercede, ha inventata questa calunnia! possa io morire, se non m’appongo.
Jago. Oh! è impossibile ch’esista un tal uomo.
Desd. Se vive, Iddio gli perdoni!
Emil. Un patibolo per perdono, e l’inferno per rodergli l’ossa! Perchè doveva egli chiamarla impudica? qual uomo le vide assiduo al fianco? in che luogo? in che tempo? con quale apparenza di verità? Sì; il Moro è acciecato da qualche esecrabile mostro, da qualche scellerato, da qualche astuto scellerato. O Cielo, perchè non isquarci il velo che nasconde simili malvagi? perchè non poni in mano ad ogni onest’uomo una sferza per flagellarli ignudi traverso al mondo, dall’oriente al settentrione?