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264 la tempesta

polata di tali abitatori, mi si vorrebbe dar fede? E nondimeno questo è pure il popolo della nostra isola; e per quanto mostruose siano le sue forme, v’ha nondimeno ne’ suoi modi qualche cosa di sì amabile e dolce, che a stento si rinverrebbe nelle più elevate classi della specie umana.

Prosp. (a parte) Buon vecchio, dici il vero; perocchè fra di voi ancora sta qualcuno, che in perversità non la cede ai demonii.

Al. Non posso cessar di pensare a quei gesti, a quelle forme, a quei dolci suoni, che senza il soccorso delle parole esprimono un linguaggio sì meraviglioso.

Prosp. (a parte) Attendi il fine prima di prodigar la lode.

Franc. Come stranamente scomparvero!

Seb. Ma quanto conforto di cibi lasciarono sul desco! Ne assaggieremo, signori?

Al. Non io.

Gonz. A che, Maestà? Quando eravamo fanciulli vi era un solo fra di noi persuaso che un popolo esistesse con giogaie simili a quelle de’ tori, e occhi splendenti a mezzo il petto? E nondimeno il fenomeno ci è apparso, e tutti potremmo attestarlo con fiducia di verità.

Al. Ebbene, m’assiderò a questa tavola, dovesse essere l’ultimo mio banchetto; poichè già sento che i giorni di mia felicità sono irrevocabilmente passati. Signori, venite, (tuoni e lampi; entra Ariele in forma d’Arpia, e svolazza alcuni minuti intorno alla tavola, la quale poscia svanisce.)

Ar. Sono fra voi tre colpevoli, che il Destino che ha in guardia questo umile mondo, fe’ recare dal mare sulle rive di quest’isola, dove altri uomini non albergano, che voi, malvagi, indegni, disonore della specie umana. (vedendo Alonso, Sebastiano ecc. che snudano le spade) Io ho colmati i vostri cervelli di demenza, di quel coraggio frenetico che induce gli uomini a darsi la morte colle proprie mani; ed è perciò, stolti, che ancor non ravvisate in me e ne’ miei compagni i ministri di una potenza soprannaturale. Ma gli elementi di che sono composti i vostri ferri potrebbero così a mala pena ledere le penne delle mie ali, quanto immergersi sanguinosi nei celeri venti, o ferir la fugace onda che tosto rimargina la cicatrice fattavi dalla spada. Com’io, invulnerabili sono i miei compagni; e se ciò anche non fosse, non potreste più trattare le empie vostre armi. Riempiendo ora lo scopo del mio messaggio, vi dico che foste traditori usurpando il trono di Milano, e cacciandone il suo legittimo possessore e la innocente figlia di lui: dicovi, che per quella iniqua trama gli onni-