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202 giulietta e romeo


Giul. Pensi tu che ci rivedremo?

Rom. Non ne dubito; e verrà tempo, in cui tutti i dolori che ora soffriamo appresteranno dolce materia ai nostri discorsi.

Giul. Oh Dio! ho un’anima che presagisce disgrazie; e mi pare di vederti, ora che sei sceso, come un morto adagiato in fondo al suo cataletto: o male discerno, o sei pallido assai.

Rom. E tu pure, amor mio, così mi rassembri. Il dolore ne dissecca, e beve il nostro sangue. Addio, addio.

(attraversa il giardino e scompare)

Giul. Ah fortuna, fortuna! gli uomini ti chiamano instabile. Ma se sei instabile, come potrai convivere con un amante di sì egregia fede? Però sii volubile, fortuna; sii come a te piace; e allora m’è dolce lo sperare che nol terrai a lungo diviso dal mio fianco.

Don. Cap. (al di dentro) Giulietta, siete alzata?

Giul. Chi mi parla? Mia madre! A che sì presto levossi? quale strano motivo la fa venire da me? (Entra donna Capuleto)

Don. Cap. Ebbene, Giulietta, come siete disposta?

Giul. Non bene, mia cara madre.

Don. Cap. Piangete ancora la morte di Tebaldo? Oh! le vostre lagrime forse lo restituiranno in vita? Potreste inondare le sue ceneri, ch’ei più non tornerà. Calmatevi dunque, mia dolce figlia; un dolor moderato prova la tenerezza; ma l’eccesso del dolore accusa una mancanza di senno.

Giul. Lasciatemi piangere per una perdita così sensibile.

Don. Cap. Tale perdita la sentirete mai sempre, senza che perciò vi sia dato di riveder l’amico che deplorate.

Giul. Sentendo sì al vivo la sua perdita, non posso astenermi dal lagrimare.

Don. Cap. Figlia mia, m’avveggo che ciò che alimenta le vostre lagrime non è così la morte del vostro sfortunato cugino, quanto il saper vivo il vile che l’uccise.

Giul. Di chi volete parlare, signora?

Don. Cap. Del vile Romeo.

Giul. Romeo un vile? Oh! fra la viltà e lui corre sì sterminato stadio che... ma Dio gli perdoni, com’io lo fo di cuore, sebbene per niun uomo tanto m’affligga, quanto per lui.

Don. Cap. Sì; e soffrite perchè l’omicida vive.

Giul. E vive lungi dalle mie mani... Oh potesse a me sola essere affidata la vendetta di mio cugino!

Don. Cap. Non temere, che sarai vendicata. Frena le lagrime, che vendetta certa otterrai. A Mantova, ove ora dimora quell’odioso profugo, è persona fidata che a nostra istanza gli propinerà