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198 | giulietta e romeo |
eccomi. (battono) Chi batte così? di dove venite? che chiedete?
Nutr. (dall’interno) Lasciatemi entrare, e saprete il mio messaggio... Vengo per Giulietta...
Fr. Oh! siate la benvenuta. (entra la nutrice)
Nutr. O santo Padre, ditemi, santo Padre, dov’è lo sposo di Giulietta? dov’è Romeo?
Fr. Là sul pavimento, immerso nelle proprie lagrime.
Nutr. Ah! nello stesso stato di Giulietta, nell’istesso stato!
Fr. Fatale amore! spettacolo di compassione!
Nutr. Così pure ella giace, gemendo e piangendo, mescolando i lai alle lagrime, e le lagrime ai lai. (a Romeo) Oh! alzatevi, alzatevi, e siate uomo. In nome di Giulietta, per l’amore di lei, alzatevi: perchè abbandonarvi a sì cupo dolore?
Rom. Nutrice.
Nutr. Oh Romeo, Romeo! la morte è il termine d’ogni male.
Rom. Parli tu di Giulietta? In quale stato è ella? Dacchè contaminai la puerizia delle nostre gioie col sangue de’ suoi, non m’ha ella in conto di iniquo traditore? Dov’è? che fa? come ricorda il sogno de’ nostri amori?
Nutr. Oh! essa più non parla, signore; ma geme, versando torrenti di pianto: ora s’abbandona sul letto, ora ne balza impetuosa; chiama a vicenda Tebaldo e Romeo, e si lacera le belle chiome.
Rom. Intendo: il nome di Romeo è per lei un colpo di fulmine che l’uccide, come la mano di Romeo uccise suo cugino. — Dimmi, Religioso, dimmi: in qual vile parte di questo corpo è attaccato il mio nome? Dimmelo, e lo distruggerò col suo odioso involucro. (sguainando la spada)
Fr. Frenati, insensato; e chiariscimi se sei un uomo. Il tuo volto ben l’annunzia; ma i tuoi pianti son di femmina; e i feroci atti tuoi rivelano tutto il furore d’un’essere privo di ragione. Sono rimasto compreso di stupore alla vista di tanta insania. Tu uccidesti Tebaldo, vuoi dirmi: ebbene, uccidi ora te stesso, e abbatti così col medesimo colpo una sposa che vive della tua vita, rinnegando il cielo e la terra, la tua natura, il tuo amore e la tua ragione. Ricco possessore di questi tesori, ne sconosci, come l’avaro, il vero uso; e perdendo il coraggio che informar debbe l’uomo, più non ti mostri che simulacro di queste. L’amore che giurasti, e che ora abiuri, ti rende colpevole d’alto delitto; e la ragione, che dovrebbe esserti scorta nei triboli della via, non è più che una guida insensata che ti conduce alla tua ruina; come l’arma che porta l’inesperto milite talvolta l’uccide, invece di di-