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108 giulio cesare


Cass. Notte voluttuosa, inebbriante per l’anime bennate.

Casca. Chi mai avrebbe immaginato cielo sì minaccioso?

Cass. Tutti coloro che la terra videro piena di delitti. Per me, spaziai per le vie consacrando il mio capo a questa notte infernale; e il seno scoperto, quale ora tu il vedi, presentai nudo ai fulmini che solcavano fiammanti le dense tenebre del creato.

Casca. Ma perchè tentar così i cieli? È proprio dell’uomo il tremare allorchè gli onnipossenti Dei, per farne certi di loro esistenza, ne mandano questi formidabili araldi ad empierne di meraviglia.

Cass. L’anima tua poltrisce, Casca, e tu non ricevesti quella scintilla di vita che animar deve un Romano; o, ricevutala, la sprezzasti come inutile accatto. Tu impallidisci e tremi, e colpito rimani alla vista di questo Cielo tempestoso; nè curi scrutar la cagione per cui tanti fuochi, tanti spettri, tanti fenomeni divini e umani ne assalgono? Se pur pensassi, ben vedresti come gli Dei sian quelli che con tali apparizioni ci ammoniscono di un prossimo e grande mutamento. E già, Casca, potrei indicarti un uomo che, simile a questa spaventosa notte, fulmina, tuona, schiude sepolcri, e rugge come il leone che dianzi vedevasi sul Campidoglio.

Casca. Di Cesare intendi; m’appresso io al vero, Cassio?

Cass. Oh! i Romani dell’età nostra hanno braccia vigorose e forti quanto quelle degli avi antichi; ma, fatale sventura! l’anime dei padri son morte, e solo c’informa lo spirito delle nostre genitrici. Il giogo che ci opprime, la pazienza con che il portiamo, ben provano esser noi fatti peggio che femmine.

Casca. E in vero credesi che i Senatori si propongano d’eleggere dimani Cesare re; porterà questi, dicesi, il suo imperio sulla terra e sui mari, per tutto infine, fuorchè in Italia.

Cass. Allora so dove piantar questo ferro per redimermi di schiavitù, o incontrar morte (additando il pugnale). È con questo, o sommi Dei, che voi rendete il debole forte d’una forza invincibile; è con questo, o Onnipossenti, che ne fate atti ad abbattere i tiranni. Nè le torri di macigno, nè le mura di bronzo, nè le carceri deserte d’aura, nè i ceppi massicci di ferro possono spegnere la libertà dell’anima. L’anima, dacchè imbrigliato è il corpo dalle catene di questo mondo, può sempre sciorre il volo a più liete regioni. Ciò so; e con ciò, sia noto all’universo che in me sta sempre di rompere il giogo che porto fremendo.

Casca. E in me pure e in ogni schiavo sta potenza di venire