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atto primo 101


Calf. Mio signore!

Ces. Abbiate cura di collocarvi sul passagio d’Antonio, allorchè eseguirà il suo corso (1) — Antonio!

Ant. Cesare, mio signore!

Ces. Non dimenticarti nella tua via di toccar Calfurnia; perocchè i nostri antichi dicevano che la donna infeconda, toccata dal celebrante questo sacro corso, veniva tosto purgata dal vizio di sterilità.

Ant. Non me ne dimenticherò; così sia sempre fatto il volere di Cesare.

Ces. Va ora, nè trasandare cerimonia veruna.

(comincia di nuovo la musica)

Ind. (tra la folla) Cesare!

Ces. Ah! chi mi chiama?

Casca. Tacete tutti: cessi ogni romore.     (la musica tace)

Ces. Qual voce tra la folla sorse per chiamarmi? Intesi una voce più chiara d’ogni strumento, che gridò: Cesare! Or parla; Cesare ascolta.

Ind. Guardati dalle Idi di marzo.

Ces. Che uomo è costui?

Br. Un indovino, che t’ammonisce di star cauto alle Idi di marzo.

Ces. Guidatelomi dinanzi; ch’io il vegga in viso.

Casca. Esci dalla folla, e vieni dinanzi a Cesare.

(l’Indovino si fa innanzi)

Ces. Che mi dicesti testè? Parla di nuovo.

Ind. Guardati dalle Idi di marzo.

Ces. Egli delira. Avanti, (musica marziale, al suono della quale tutti escono, tranne Bruto e Cassio)

Cass. Andrete ad assistere al corso?

Br. Non io.

Cass. Ve ne prego, vogliateci andare.

Br. Non amo i sollazzi; non sento in me quell’umor lieve e versatile che anima Antonio... Ma non v’intrattenete per me, Cassio andate da Cesare, se vi aggrada.

Cass. Bruto, è da qualche tempo che vi esamino, e con mio dolore non trovo più ne’ vostri sguardi quell’abbandono affettuoso, quei contrassegni di tenerezza, di cui solevate essermi largo; solo una mano gelida e inanimata stendete ora all’amico, che con amore la stringe.

  1. Cerimonia osservata nelle feste lupercali a Roma che scadevano il dì 15 marzo (Vedi Tacito).