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188 ettore gabrici


I coloni greci di questa città in seguito, memori del beneficio ricevuto, mandarono doni ad Apollo delfico, fra’ quali anche un gruppo rappresentante il re Opi morto1, con accanto l’eroe Taranto, lo spartano Falanto e non lungi da lui il delfino che lo aveva salvato2. E qui osserva il Garrucci3: “come mai Aristotile potè dire che tipo solenne del nummo tarentino è l’eroe Taranto, figlio di Nettuno, che cavalca il delfino?4”. Nel donativo che i Tarentini mandarono a Delfo, non era accanto a Taranto, ma presso Falanto, il delfino; e la tradizione che narra di Falanto salvato dal naufragio per opera di un delfino, non racconta dell’eroe figlio di Nettuno, che approdasse a Taranto cavalcando un delfino. Bisogna dunque ritenere che i Tarentini attribuissero a Taranto quell’avventura che si narrava di Falanto, forse per ripetere la loro origine da Nettuno.

Abbiamo così accennato alle ragioni che possibilmente concorsero nel fare che alla leggenda primitiva di Menesteo troiano si sovrapponesse, anzi subentrasse affatto col tempo quella di Menesteo ateniese. Ma la prima non scomparve giammai, sibbene fu arricchita di particolari dall’altra e ne subì quasi l’innesto, senza venire alterata: e se al principio di tale innesto potevansi ancora entrambe separatamente distinguere in Roma, alla fine della Repubblica erasi di esso talmente perduta la memoria che le due leggende più non si distinguevano, nè si rintracciava chiaramente la nazionalità di Menesteo ateniese. Le testimonianze di Virgilio e di Lucrezio,

  1. Opi era re degli Iapigi che aveva aiutato i Peucezii ai danni dei Tarentini: ma era morto in battaglia.
  2. Paus., X, 13.
  3. Garrucci, Mon. dell’Ital. ant. Part. II, pag. 121.
  4. Pollux, IX, 80.