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216 iii - i rimatori pisani

si che, per gran pietà, chi ha potenza
di darne guerigion, vegna in voglienza.
Savem de certo ched alcuna cosa
i,S tanto gentil nostro Signor non fene
quanto l’omo, né si siali piacimento,
che poi Tee fatto, fuli si amoroso,
che li de libertà di male e bene,
operar, quanto vola a suo talento.
20E si nond’è contento.
Noi sottoposti ci convene stare,
veder, né operare
cosa potem che diletto ne sia,
né avem signoria
25di parlar a nessun che conoscenza
aggia con noi, e ciò n’è gran doglianza.
Ed anco maggior doglia e più gravosa
aggiam che non di sovra si contane.
Conforto aremmo a ciò trapassamento;
30ma, sperando d’aver nova gioiosa,
la contrara di gioia adesso vena
tal ch’ai cor par voglia dar lungiamento:
tant’ha confondimento,
che contenti serammo al trapassare,
35anzi che dimorare
in asta vita si crudele e ria,
non fussa che tal via
saven’nostr’alma terrèn ch’a perdanza
girèno senz’aver giammai redenza.
40Più greve pena assai e dolorosa
haven’, ciò sono este fere catene,
. che altra, und’io fatt’aggia mostramento;
ch’ell’ è tanto crudele e si noiosa,
che, se consolazion nulla ci vana,
45tosto da noi li fa far partimanto,
e lo grande tormento,
ch’haven’tuttor, ci fa rinovellare,