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vi - pucciandone martelli 193

che a lo mio vivente soffriraggio
lo male e ’l ben che da voi, donna, avraggio.
Amor, poi ch’a madonna tormentare
mi fai come lo mare,
35quando, di gran tempesta,
a la nave non resta
di dar gravoso afanno,
altrui non aggio, cui mi richiamare,
se non te, che scampare
40mi puoi d’està molesta
e darmi gioia e festa
di tutto lo meo danno;
che certo grande inganno
ha’ dimostrat’e fatto.
45Ma poi mi n’ha’ trasatto,
ristaurar come fanno
li bon signori a li lor bon serventi,
che guigliardonan li lor servimenti.
Da cui lo noni’ è, Amor, tanto avenente
50(e tuttor manta gente
aggi’ odito laudare)
non mi dovresti fare
mostrar tant’argoglianza.
A la mia donna, che cura neente,
55però che ’la non sente
de le mie pene amare,
falline, Amor, saggiare,
ch’aggia di me pietanza
e mostrimi sembranza
60d’alcuna benvoglienza;
che da la mia intendenza
aggio bona speranza,
poi m’arai ristaurato de le pene
e tutto lo meo mal tornato in bene.
65Amor, merzé, a madonna sentire
fa’ lo travaglio e l’ire