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castigo immediato, sul cuore dei popolani accodantesi dietro la croce di Cristo, muti dinanzi al mistero della Divinità.

Scena di verismo crudo, brutale, che è però fatale conseguenza di passione soffocata, annientata dalla inesorabilità del destino, che si accanisce contro un’anima fragile, sensibilissima.

La musica coglie appunto il senso più dolce della tragedia umana e descrive il tumulto delle passioni in un canto che si snoda a sussulti e a singhiozzi e a frasi larghe di disperazione e di violenza in cui però predomina sempre il cuore.

Il popolo siciliano è unico nell’offrire questo strano contrasto di dolcezza tragica e violenta!

C’è forse bisogno di ricorrere al pletorico, all’assordante, a tutti i mezzi di cui dispone la scienza per descrivere il dramma che si compie in un minuto?

L’anima sicilana si ribella alla confusione: semplice, lineare, tanto nell’intrecciare un idillio quanto nel conchiudere una partita «d’onore», ha bisogno solo di chiarezza e di comprensione.

L’arte deve essere la sua. I canti devono essere i suoi, l’espressione deve dire tutta la forza di sentimento che si nasconde nel cuore per il quale sentimento non ci sono finzioni, nè restrizioni, ma deve sgorgare puro e semplice come lo zampillo che spunta fuori dal crepaccio di una montagna.

Verismo, sopratutto!

Ecco perchè il fortunato tentativo mascagniano di portare sul teatro di musica il rapido dramma di Giovanni Verga trovò salde e profonde radici nel mezzogiorno, dove parve sollevare d’un tratto un’ondata di passione ardente.

Ma la concezione frontiniana, se si riallaccia per un momento al tentativo verista, si distacca profondamente, come essenza e come idealità, da tutto ciò che di caduco e di convenzionale si trova inevitabilmente in questo genere.

Per capir questo, bisogna partire da un punto di vista completamente diverso di quello di coloro i quali trovarono una facile via di ispirazione in una espressione artistica, che sem-