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e della Pasqua, in S. Pietro, e nella cappella Sistina, le quali in presenza di tanti capi d’opera dell’arte si possono ritenere per le funzioni più imponenti del culto cristiano, riesce attraente lo assistere in quello angusto ed oscuro quartiere del Ghetto, ad una festa di Pasqua, e di rinvenire le antiche basi, appena mutate, del culto cattolico di Roma. Sono propriamente quelle le radici di questo culto, e quanto più l’albero crebbe e si estese, tanto più profonde sono le radici nella notte dei tempi. La festa era celebrata nella sinagoga.

Ho già accennato più sopra che questa nel Ghetto romano sorge di fronte al palazzo Cenci. Sono annesse a questa cinque scuole riunite in una casa, la scuola del Tempio, la Catalana, la Castigliana, la Siciliana, e la scuola nuova, dal che si può dedurre che il Ghetto di Roma trovasi diviso in cinque giurisdizioni o parrocchie, che si vogliano nomare, ognuna delle quali rappresenta gli elementi che concorsero a formare l’università israelitica di Roma, vale a dire antico romano-ebraico, spagnuolo, e siciliano. Mi si disse che gli Ebrei della scuola del Tempio sostenevano la pretesa di scendere direttamente da quelli portai in Roma da Tito. Ogni sinagoga ha la sua scuola, nella quale i ragazzi poveri sono istrutti nella lettura, nella scrittura, e nel calcolo, non però nelle scienze; ed ogni sinagoga poi ha il suo tabernacolo, dove si conserva il Pentateuco.

Ho visti queste sale nel giorno di Pasqua. Il Ghetto ha profuso l’oro e l’argento, per adattare una sede al culto mosaico. All’esterno la sinagoga non ha iscrizioni, ma la si riconosce dallo stile diverso della sua costruzione. Gli Ebrei hanno cercato a nascondere il loro tempio, non che ad adornarlo di notte tempo in Roma, dove basiliche e chiese sfoggiano all’esterno tutta la loro magnificenza. Pare abbiano tolto qua e là di nascosto, nella quantità di marmi di cui abbonda la città eterna un paio di tronchi di colonne, un paio di capitelli, ed alcuni pezzi di marmo per costrurre di nascosto il loro tempio. Il

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. I. 7