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del grasso lucido, non ci toglie però il diritto di frequentare la buona società, e di recarci anzi ad una festa da ballo.

V.

Non avrà questa luogo nè presso il duca Torlonia, nè presso il duca Braschi; ma sarà più interessante e più degna di osservazione, che un ballo in appartamenti principeschi, e nei costumi del tempo di Luigi XIV. Sarà il così detto ballo dei modelli, in una vasta e deserta sala della via Claudiana.

Havvi in Roma una classe di persone, la cui vita è tanto strana e singolare, che potrebbe prestare ai novellieri migliori argomenti, che la vita di quella Fior di Maria, e di quelle sartine che la moderna letteratura francese tolse ad ideale della donna, ed innalzò al grado di muse novelle della poesia. Le persone che troveremo a questo ballo, sono i modelli degli artisti, tanto uomini quanto donne, che hanno la triste sorte di dover stare perecchie ore della giornata in una immobilità perfetta, davanti a coloro i quali li vogliono disegnare, o scolpire. Guadagnano la loro sussistenza mercè le forme belle, e caratteristiche del loro corpo. Compaiono davanti a questi, in tutti gli atteggiamenti possibili. Una ragazza figurerà oggi la Venere dei Medici, domani una Diana, un’Arianna, una Madonna, una Baccante, una Psiche, una Dea, una schiava, una Miriam, una Vestale; oggi sarà nuda, domani tutta velata, vestita dei costumi i più ricchi, i più svariati, ora di Turca, ora di Greca, ora di donna di Albano, o della campagna romana o di antica Romana. La povera creatura deve ridursi ad una specie di statua, il cui incarico si è di rimanere quanto più gli sia possibile immobile, nella posizione assegnatale dagli artisti; questi la trattano quasi un fantoccio, facendole muovere e gambe e braccia, e tutto il corpo, infino a tanto l’abbiano ridotta a quella attitudine che desiderano.