Pagina:Ricordi storici e pittorici d'Italia.djvu/175


- 175 -

Francesca. «State Mosca» l’ilarità fu generale e romorosa. Domandai ad un giovanetto seduto presso di me, il quale era convulso per il gran ridere, il motivo di tutta quella ilarità «Mosca, mi rispose, vuol significare zitto in Trasteverino.» A vece di niente, i Trasteverini dicono nientaccio, ed anzi le terminazioni in accio ed in uccio sono caratteristiche del loro dialetto, e non mancavano mai di eccitare le risa. Quel dialetto, come buona parte dei dialetti italiani, aggiunge volontieri la particola ne ed ama raddolcire le finali in are ed ire, dicendo andane, partine, a vece di andare, partire. Sostituisce parimenti volentieri la r, alla l, dicendo pertanto der teatro a vece di del teatro. Del resto, anche le espressioni erano ridotte a forma volgare. Lanciotto, per esempio, disse una volta a Paolo: «Bada; ti voglio ridurre a fette come un salame.» La tragedia di Silvio Pellico termina coi versi:

                 «basta, onde tra poco
Inorridisca al suo ritorno il sole»

nel dialetto dice «venga al suo ritorno la tremarella al sole.» Il passo di Dante, in cui Paolo e Francesca narrano che leggevano la storia di Lancilotto e di Ginevra, fu tradotto «noi leggevamo un giorno la bella storia di Chiarina e di Tamante» la quale è una canzone côrsa, difusa in tutta Italia, e la quale si vende in foglio volante su tutti i muricciuoli. «Che cosa mai avrebbero detto Dante e Silvio Pellico, domandai ad un mio vicino, se avessero potuto vedere la loro favola ridotta a questo modo, su queste scene?» Il vicino mi guardò con istupore e dopo che parve avere capito quello che io pensava. «Eh rispose, si vuol ridere!» E per dir vero, ho vedute poche cose più ridicole della scena nella quale Lancilotto uccide Paolo e Francesca; nella quale mentre sono entrambi già stesi a terra, Paolo dice all’innamorata «Checca! Perdono! Ohimè, dessa è capotto! ora sono capotto io pure!» ed il signore di Ravenna gobbo, in maniche di camicia e brache di velluto avvicinandosi ai