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I.

Queste pagine dettate in alcune ore di ozio, devono comparire variopinte quali un carnovale, ed essere considerate propriamente quasi un caleidoscopio. Tenteremo intanto di introdurre un qualche ordine in questo mondo intricato di figure, il quale presenterà immagini di vivi e di morti, fantocci, ballerini, mimici, predicatori ragazzi, teatri popolari, ed altre rarità stupende, in linea sempre crescente.

Il primo atto avrà luogo come di ragione sotto terra.

Una sera durante la settimana dei morti, il chiarore delle faci m’indusse ad entrare nel tempio di Agrippa. Un sacerdote predicava intorno al purgatorio, esortando gli uditori a pregare assiduamente, essendo appunto questi i giorni, durante i quali si possono alleviare le pene espiatorie, ed in cui è maggiore l’efficacia della preghiera.

«Che qui, per quei di là molto s’avanza» — disse di già l’anima di re Manfredi nel purgatorio. Il sacerdote parlava con gran calore, con voce sonora, ed in quella foggia teatrale, colla quale sogliono i sacerdoti italiani indirizzarsi al popolo. La sua predica nel Panteon di Agrippa trovava sede adatta a produrre grande impressione. «Imperocchè, diceva, qui tutto ci ricorda il nulla del passato: pensate soltanto agli innumerevoli cristiani, che un dì Nerone, Decio, Domiziano, gittarono in preda agli animali feroci o fecero crocifiggere, decapitare.» La voce del sacerdote risuonava potente in quell’ampia e silenziosa