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libertà che per la classe privilegiata dei Musageti arrampicatasi sul Parnaso! Ciascuno di essi vuol pensare liberamente e cercare a suo piacere un ideale nell’infinito, pur dicendo però che occorre «una religione per il popolo». Desidera vivere da uomo indipendente, ma, secondo lui, «l’obbedienza è fatta per le donne»; vuol creare opere originali, ma la «folla dei bassifondi» deve rimanere asservita come una macchina all’ignobile funzionamento della divisione del lavoro.

Tuttavia questi aristocratici del gusto e del pensiero non hanno più la forza di tener serrate le cateratte traverso le quali si riversano i flutti. Se la scienza, la letteratura e l’arte sono divenute anarchiche, se ogni progresso, ogni nuova forma di beltà sono dovuti all’espandersi del libero pensiero, questo pensiero esercita la sua influenza anche nei più bassi strati della società, ed ora non è più possibile rattenerlo. È troppo tardi ormai per poter arrestare il diluvio.

La diminuzione del rispetto e della riverenza non è forse un fenomeno tutto proprio della società contemporanea? Io ho veduto un tempo in Inghilterra migliaia di persone affollarsi per veder passare l’equipaggio vuoto di un gran signore; questo oggi non sarebbe più possibile. Nell’India, poco fa, i paria si arrestavano devotamente a cento quindici passi di distanza, regolamentari, dall’orgoglioso bramino; ma da quando si affollano insieme nelle stazioni ferroviarie, non sono più separati che da una semplice sala d’aspetto.

Esempi di bassezza e di vigliaccheria non sono certamente rari anche oggigiorno; ma nondimeno vi è un notevole progresso verso l’eguaglianza. Prima di umiliare si avviene di esaminare se l’oggetto della propria venerazione, uomo o istituzione che sia, la meriti o no; si studia il valore degli individui, l’importanza delle opere. La fede nella grandezza è finita; e, dove non c’è più fede, anche le istituzioni scompaiono alla loro volta. Questo estinguersi del sentimento di rispetto implica come conseguenza pratica la soppressione dello Stato.

L’azione di critica irrispettosa, alla quale è sottoposto lo Stato, si esercita ugualmente contro tutte le istituzioni sociali. Il popolo non crede, proprio non crede più in nessun modo, all’origine pura della proprietà privata, prodotta, dicevano gli economisti (ora non osano più ripeterlo) dal solo lavoro personale dei proprietari; sa bene che il lavoro individuale non ha mai creato milioni sopra milioni, e che gli arricchimenti mostruosi dei nostri giorni sono tutti una conseguenza del falso assetto sociale, che dà ad un solo il diritto di appropriarsi il prodotto del lavoro di mille altre persone. Questo popolo rispetterà il pane che il lavoratore faticosamente s’è guadagnato, la capanna che s’è costruita con le proprie mani, il giardino che coltiva, ma perderà certamente ogni rispetto per le mille proprietà fittizie rappresentate dalle carte d’ogni specie depositate nelle banche.

Giorno verrà, io non ne dubito, che egli riprenderà tranquillamente possesso di tutti i prodotti del comune lavoro, miniere e poderi, officine e castelli, ferrovie, navigli e mercanzie.

Quando la moltitudine, questa moltitudine «vile» di una vigliaccheria che è la conseguenza fatale della ignoranza, avrà cessato di meritare l’aggettivo con cui la si insulta, e si sarà convinta che l’accaparramento di tanti averi immensi riposa unicamente sur una finzione chirografica sulla