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chelli, quando non è un capolavoro d’arte o di critica — lochè è raro — è pur sempre un capolavoro.

«Doveva essere un libro, e libro di polemica» quando tre anni fa realisti ed idealisti si accapigliavano come donne da trivio. In esso si dovea «discorrere intorno la natura ed il fine del realismo, intorno al successo ottenuto dalla poesia dello Stecchetti, e a ciò che ella contiene di essenzialmente duraturo.» Lo Zanichelli non si negò a stamparlo, e il signor Lodi si accinse alla grande opra. Ma siccome «i bollori pugnaci» ben presto cessarono, così il libro sarebbe riuscito una cicalata inutile, ed il sig. Lodi abbandonò l’idea di «buttarsi per perduto nel fitto della pugna.» Ma Zanichelli di queste ragioni non volle sentirne e richiese ad ogni costo il promesso manoscritto. Allora cosa fare?

Ecco cosa fece il signor Lodi.

Riunì in 150 pagine un’apologia di Lorenzo Stecchetti, un’apologia senza capo nè coda, e non avente altro scopo, se non quello di dire al pubblico grosso: badate che fra gli spacciato-