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canto decimonono. 47

12 Mentre ch’io stavo come Proserpina3
     Co’ fiori in grembo ascoltare il suo canto,
     Giovane bella, lieta e peregrina,
     Il dolce verso si rivolse in pianto:
     Vidi apparire, omè lassa tapina!
     Un uom pel bosco feroce da canto:
     Il lusignuolo e’ fior quivi lasciai,
     E spaventata a fuggir cominciai.

13 E certo io sarei pur da lui scampata;
     Ma nel fuggire a un ramo s’avvolse
     La bella treccia e tutta avviluppata:
     Giunse costui, e per forza la svolse;
     Quivi mi prese, e così sventurata,
     In questo modo al mio padre mi tolse;
     E strascinommi insino a questa grotta,
     Dove tu vedi ch’io son or condotta.

14 Credo ch’ancora ogni selva rimbomba
     Dov’io passai, quando costui per terra
     Mi strascinava insino a questa tomba;
     E s’alcun satir pietoso quivi erra,
     Questo peccato so ch’al cor gli piomba,
     O se giustizia l’arco più diserra;
     Omè, che mi graffiò più d’uno stecco,
     Tal che risuona ancor del mio pianto Ecco.

15 Le belle chiome mie tra mille sterpi
     Rimason, dè’pensar, tutte stracciate
     Tra boschi e tra burrati, e lupi e serpi,
     Che fur come Assalon malfortunate;
     Omè, che par che ’l cor da me si scerpi!
     Omè, le guance belle e tanto ornate
     Furono a’ pruni, e credo che tu ’l creda,
     Troppo felice ed onorata preda!

16 E’ drappi d’oro e’ vestimenti tutti
     Al loto, al fango, a’ sassi, a’ rami, a’ ceppi,
     Che solo un bruscolin facea già brutti,
     Poi gli vidi stracciar per tanti greppi:
     Nè creder ch’io tenessi gli occhi asciutti,
     Misera a me, comunque il mio mal seppi;
     Ma sempre lacrimosi e meschinelli,
     Dovunque io fu’, lascioron due ruscelli.