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42 il morgante maggiore.

118. ribeca. O ribeba; strumento di corde da suonare.

119. sciarra. Rissa, contesa; dal verbo sciarrare, che vale dividere, sbaragliare, mettere in rotta, e simili.

122. O fiamma ec. Termini de’ giuocatori de’ dadi, de’ quali si è in gran parte perduto il significato. — d’un pelo e d’una buccia. Della medesima indole o qualità ; ejusdem farinæ. — camuffare ec. Truffare, ingannare: ma propriamente travestire, imbacuccare, e simili, corrispondente al latino caput obtegere. Viene dalla greca voce κημός, che significava un certo velo col quale si nascondevano la faccia le donne; come si cava da quel d’Esichio κημός γυναικεῖον προκόσμημα.

124. pillotto. Dicesi pillottare il gocciolar sopra gli arrosti lardone o simil materia strutta bollente, mentre si girano. Secondo la Crusca viene forse da biliottare, che significa asperger di macchie qua e lò a guisa di gocciole; maculis distinguere.

125. ch’alla man tenga. Che corrisponda alla mano, cioè alle dita di essa, che son cinque.

126. che non sia povero di panni. S'usa rinvoltare i fegatelli in rete di castrato; e quanto più sono con questa ben rinvolti, più vengon morbidi e saporiti. Di ciò suoi dirsi d'uno che sia bene imbacuccato, egli è rinvolto come un fegatello. — e puoi sonar le nacchere. Suonar le nacchere vale dar delle busse; qui però metaforicamente par che significhi, far suonare i denti, mangiare.

129. Sappi ch’io aro ec. Arar coll’asino e col bue, vale far le cose a ritroso. Tuttavolta qui potrebbe intendersi per arare con ogni sorta bestie, cioè fare d'ogni erba un fascio, o farne di tutte. — gueffe. Prigioni. — Dove il capo non va. Modo di dire che significa essere entrante, e cercar d’ottenere por ogni guisa l’intento suo.

131. S’io ho tenute ec. Tenere oche in pastura vale tener femmine per prestarle altrui a prezzo; fare il ruffiano.

132. si sgoccioli il barletto. Si dica tutto intero quello che c’è da dire. — E mitere ec. Intendi, sono stato alla berlina.

134. Io son più vago ec. Intendi: io son più vago di spogliare gli altari, di quello che l’esattore della giustizia, o il messo del Tribunale che va pel contado a far gravamenti a’ debitori, sia vago del paiuolo per torlo in pegno.

138. zara a chi tocca. O zara all’avanzo; proverbii che vogliono a chi ella tocca suo danno. La zara era un giuoco aulico, che facevasi con tre dadi, ed è rammentato da Dante nel sesto del Purgatorio:

Quando si parte il giuoco della zara ec.

sul qual verso dice il Buti: «Questo giuoco si chiama zara, per li punti divietati, che sono in tre dadi, da sette in giù , e da quattordici in su; e però quando veggono quelli punti, dicono li giuocatori zara.» La qual voce vien forse da azzardare, sebbene alcuni, e Guglielmo Tirio infra gli altri, la facciano venire da Hasarth, nome dì un castello di Siria. Ecco le precise parole di esso Guglielmo: «Cum scilicet circa annum 1200 transfretarent Christianæ acies, ad dejiciendos Syria, Palestina ac Judea barbaros, et convenirent ad munitissimum Syriæ castellum, captum a Francis, cui nomen Hasart: tantaque frequentia, ut ludus Hazardi diceretur de more inter milites ludus alcatarius.»

140. provano. Garoso, ostinato, caparbio.

144. Co’ santi in chiesa. Da quel di Dante:

.........nella chiesa
Co’ santi, ed in taverna co’ ghiottoni,
                         Inf., XXII.

145. dar la frutte. Bastonare.

146. Ch’io tirerei l'aiuolo ec. Tirar l’aiuolo diciamo in proverbio, per non si lasciare uscir di mano nulla, nè perdere alcuna occasione, o guadagno, per quanto di poca importanza egli sia.