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432 il morgante maggiore.

137 Portin certi uccellacci un sasso in bocca,
     Come quelle oche al monte Taureo,
     Per non gracchiar, chè poi il falcon le tocca,
     Ch’io gli farò girar come paleo;
     Ed ho sempre la sferza in su la scocca,
     Perch’io fu’ prima che gigante reo:
     Non morda13 ignun chi ha zanne, non che denti,
     Dice il proverbio; io non dico altrimenti.

138 Io non domando grillanda d’alloro
     Di che i Greci e’ Latin chieggon corona;
     Io non chieggo altra penna, altro stil d’oro,
     A cantar d’Aganippe e d’Elicona;
     Io me ne vo pe’ boschi puro e soro
     Con la mia zampognetta che pur suona,
     E basta a me trovar Tirsi e Dameta:
     Ch’io non son buon pastor, non che poeta.

139 Anzi non son prosuntuoso tanto,
     Quanto quel folle antico citarista,
     A cui tolse già Apollo il vivo ammanto;
     Nè tanto satir, quant’io paio in vista:
     Altri verrà con altro stile e canto,
     Con miglior cetra, e più sovrano artista;
     Io mi starò tra faggi e tra bifulci,
     Che non disprezzin le muse del Pulci.

140 Io me n’andrò con la barchetta mia,
     Quanto l’acqua comporta un piccol legno;
     E ciò ch’io penso con la fantasia,
     Di piacere ad ognuno è 'l mio disegno:
     Convien che varie cose al mondo sia,
     Come son varii volti e vario ingegno,
     E piace all’uno il bianco, all’altro il perso,
     O diverse materie in prosa o in verso.

141 Forse coloro ancor che leggeranno,
     Di questa tanto piccola favilla
     La mente con poca esca accenderanno
     De’ monti o di Parnaso o di Sibilla;
     E de’ miei fior come ape piglieranno
     I dotti, s’alcun dolce ne distilla;
     Il resto a molti pur darà diletto,
     E lo autore ancor fia benedetto.