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canto ventesimottavo. 429

122 Fece in sul Reno il ponte, com’io dissi,
     Di cinquecento passi per lunghezza;
     Che mostrò segno, innanzi che morissi,
     Come e’ cadeva anche ogni gentilezza:
     Mostrava, in ogni caso che avvenissi,
     Prudenzia e temperanza con fortezza:
     Grazie che Iddio rade volte concede
     O per nostra salute o per la fede.

123 Dilettavasi a caccia andare spesso,
     Sempre l’ozio dannando, come i saggi,
     Sanza temer, dagli anni pur defesso,
     Di freddo, o luoghi difficil selvaggi:
     Tanto ch'essendo a quel termine presso,
     Dove più oltre ognun convien che caggi,
     Perchè non è più la natura forte,
     Sollicitò per tal cagion la morte.

124 Pigliava spesso de’ bagni diletto,
     Quivi soleva congregar gli amici,
     Come forse dal luogo era constretto,
     Dove i monti son freddi e le pendici:
     O signor giusto, o signor benedetto,
     O quanto furon que’ tempi felici!
     Non sarà Francia mai sì bella o lieta
     O per corso di stelle o di pianeta.

125 Reputavano i popoli dal cielo
     Mandato fussi in terra un tal signore
     Per carità, per giustizia, e per zelo;
     E se non fussi spento il vecchio errore,
     Adorato l’arebbon come Belo
     Per reverenzia e per antico amore:
     Tanto che alcun forse autor non falla
     Della croce incarnata in su la spalla.

126 Ammaestrò i figliuoli e le figliuole
     D’ogni arte liberal, d’ogni dottrina;
     Nè bisognava cercare altre scuole,
     Allor che l’Accademia parigina
     Voleva appresso tutta la sua prole;
     Se e’ cavalcava da sera o mattina,
     Talvolta per fuggir le sue donne ozio,
     Ministravan lanifero negozio.