67 Era il popol di lacrime confuso,
Tanto a ciascun del suo signore increbbe:
E veramente a questa volta io scuso
Ognun che piange quel che pianger debbe:
Quando Alcuin, secondo l’antico uso
Salito in alto, poi che guardato ebbe
La gente afflitta e lamentabil tanto,
La cetra accommodò col flebil canto.
68 E molto commendò colui che ha detto
Lattanzio, e disse nello esordio prima:
Io son fra molti dicitori eletto,
E me’ di me ognun sa dire in rima;
Però s’io commettessi alcun difetto,
Popolo mio, per discrezion istima,
Che come Filomena a cantar vegno
Materia, ove e’ non basta umano ingegno.
69 Io canterò del magno imperatore
La vita, e piangerò con voi la morte:
Perchè pur era mio padre e signore,
E tanto tempo m’ha nutrito in corte,
Dove il pan de’ sospiri e del dolore
Convien ch’io mangi tanto duro e forte:
Ma perch’io sono alla vita obbligato,
Non voglio anche alla morte esser ingrato.
70 Pipino il padre suo famoso e degno,
Tenne prima lo scettro e il nome regio,
E governò per quindici anni il regno,
Però che al gran Prefetto del collegio
Dinanzi a lui bastava il nome e ’l segno;
Ma la corona, e ’l real seggio e ’l fregio
Tenne Pipin, come disopra è detto,
Che per successione era Prefetto.
71 Morto Pipin, dopo il quindecimo anno
Dalla sua promozion, rimase Carlo,
Carlo Magno appellato, e Carlo Manno
Un suo fratel; ma del signor mio parlo;
Chè come il regno insieme partito hanno,
Opera mia non è di raccontarlo:
Io dirò tanto della sua eccellenzia,
Quant’io ebbi oculata esperienzia.