189 Questa sarà la nostra cena appunto,
E’ si consuma di dar nella rete;
Però t’appiatta, tanto che sia giunto,
Che tragga a noi la fame e a sè la sete.
Il liocorno dalla voglia è punto,
E non sapea le trappole segrete;
Venne alla fonte, e ’l corno vi metteva,
E stato un poco, a suo modo beeva.
190 Morgante, che dallato era nascoso,
Arrandellò il battaglio ch’egli ha in mano;
Dettegli un colpo tanto grazioso,
Che cadde stramazzato a mano a mano,
E non battè poi più senso nè poso;
E fu quel colpo sì feroce e strano,
Che di rimbalzo in un masso percosse,
E sfavillò, come di fuoco fosse.
191 Quando Margutte il vide sfavillare,
Disse: Morgante, la cosa va gaia,
Forse che cotto lo potren mangiare.
Per quel che di quel sasso là mi paia,
Noi gli faren del fuoco fuor gittare.
Disse Morgante: Ogni prieta è focaia,
Dove Morgante e ’l battaglio s’accosta:
Sempre con esso ne fo a mia posta.
192 Ma tu che se’, Margutte, sì sottile,
Ed hai condotte tante masserizie,
Come non hai tu l’esca col fucile?
Disse Margutte: Tra le mie malizie
Nè cosa virtuosa nè gentile
Non troverrai, ma fraude con tristizie.
Disse Morgante: Piglia del fien secco:
Vienne qua meco. E Margutte disse: Ecco.
193 Vanno a quel masso, e Morgante martella,
Ch’arebbe fatto riscaldare il ghiaccio;
Tal ch’a Margutte intruona le cervella,
Sì che quel fien gli cadeva di braccio.
Allor Morgante ridendo favella:
Guarda se fuor le faville ti caccio.
Margutte il fien per vergogna riprese
E tennel tanto che ’l fuoco s’accese.