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canto ventesimottavo. 409

22 Quando Ulivier percosse il viso a Gano,
     Io dissi allor come e’ si pose in core
     Di vendicarsi; chè gli parve strano,
     Sendo pur per natura traditore.
     Ricórdati, lettor, del Lampognano,
     E non cercar d’altro antico autore;
     E sempre tien la paura in corazza,
     Chè il disperato al fin mena la mazza.

23 Forse che Gano ancora avea speranza
     Di ricoprir con Carlo il tradimento;
     Ed avea tanta gente di Maganza,
     Che, come il conte Orlando fussi spento,
     Si confidava nella sua possanza,
     Di poter le bandiere alzare al vento
     Col favor di Marsilio e con la lancia,
     E coronarsi del regno di Francia.

24 Or lasciam questo traditor pe’ boschi,
     Com’io dissi, pe’ balzi e per le fosse,
     Perch’io son pien di molti pensier foschi:
     Non c’è il nocchier che la mia barca mosse,
     E bisogna che terra io ricognoschi
     Come se quella in alto mare or fosse,;
     E rilevare il porto per aguglia,4
     Perchè la sonda alle volte ingarbuglia.

25 Morto è Turpino e seppellito e pianto,
     Tanto ch’io temo, nella prima vista,
     Di non uscir fuor del cammino alquanto,
     Chè mi bisogna scambiar timonista;
     E nuova cetra s’apparecchia e canto;
     Ma perchè volteggiando pur s’acquista,
     Forse che in porto condurrem la nave,
     Di ricche merce ponderosa e grave.

26 Sì ch’io ricorro al mio famoso Arnaldo,
     Che m’accompagni insino al fine e scorga,
     Tanto ch’io ponga in quiete Rinaldo,
     E la sua destra mano al timon porga;
     Che, poi che Gano ha squartato il ribaldo,
     D’un zucchero candito è pieno in gorga,5
     E riforbito s’ha gli artigli e ’l becco,
     E tratto fuor della mente lo stecco.