257 Fammi Turpin maravigliar talvolta,
Se non ch’io veggo poi ch’e’ dice il vero,
Quand’io ho questa istoria ben raccolta;
Che molte madre drento al fiume Ibero
I propri figli in quella furia stolta
Gittâr la notte con istran pensiero,
Chè il furor tutto ministrava e guida,
E non si scorge altro romor, che strida.
258 Ed altre in mezzo gli gittâr del foco,
Per non venire alle man de’ Cristiani,
Ne’ pozzi e nelle fogne e in ogni loco;
Altre gli uccison con lor proprie mani:
O vendetta di Dio, qui sare’ poco
Agguagliar la miseria de’ Troiani
A tante afflitte e sventurate donne,
Quando e’ mentì del gran caval Sinonne.
259 Credo che Tito con Vespasiano
Non fêr de’ Giudei tanto, s’io non erro,
Quanto costor di quel popol profano;
Pensa che insino a Turpin pare sgherro;
Qual Sagunto o Cartagin d’Affricano;
La cosa va tra l’acqua e ’l fuoco e ’l ferro,
E ’l fuoco par, com’io dissi, penace:
Pigli ciascun qual de’ tre più gli piace.
260 E se alcun pur si fuggiva meschino,
In ogni parte la morte rintoppa,
Chè Ricciardetto, e il Danese, e Turpino
Ed Ansuigi per tutto gualoppa.
Intanto è ritrovato Bianciardino,
Ch’era nascoso in un sacco di stoppa;
Rinaldo far gli volea pure il gioco,
Ed appiccarvi con sua mano il foco.
261 Carlo gli disse: Io lo riserbo a peggio.
Marsilio intanto in sala era legato
Come un can per la gola, allato al seggio
Dov’e’ fu già da sua gente onorato;
E non poteva ignun pigliar puleggio,
Chè il palazzo era per tutto guardato,
Acciò che cosa nessuna si fugga,
Sì che la roba e la gente si strugga.