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396 il morgante maggiore.

252 E poi ch’ognun fu ritirato addietro:
     O Carlo, disse io vo’ che mi conceda
     (Se mai grazia da te nessuna impetro,
     Sì che tu sia di maggior gloria ereda,
     Perchè a tanto signor, tanto alto scetro
     Femina pare alla fine vil preda)
     Che la reina e Luciana sia
     Libera data nella mia balía.

253 Carlo rispose: O figliuol mio diletto,
     Come poss’io negar le cose oneste?
     Io vo’ che il fatto sia prima che 'l detto,
     Veggo che amore ancor ti sforza e investe.
     E per venire, uditore, allo effetto,
     E’ perdonoron solamente a queste
     Di tanta gente in tutta la cittade:
     Il resto, al fuoco e al taglio delle spade.

254 Era a veder la notte Siragozza
     A fuoco come Soddoma e Gomorra,
     E tanto più ch’ella è pel sangue sozza,
     Che par per tutto insino al fiume corra;
     Però che alla franciosa qui si sgozza,
     E così arde come al vento forra
     Di secche piante insino alle radice
     Questa città, che fu già sì felice.

255 Parea talvolta che si dividessi
     L’una fiamma dall’altra, come è detto
     De’ due Teban già in una pira messi.
     E poi saltava d’uno in altro tetto,
     Come se un fuoco distinato ardessi:
     E che Tesifo e Megera ed Aletto
     Vi fusse, e Cerber latrassi il gran cane,
     E vendicassin le ingiurie cristiane.

256 Già si vedevan per terra le case
     Dirute ed arse e desolate tutte,
     Che pietra sopra pietra non rimase:
     Quante magne ricchezze eran distrutte!
     Quante colonne, piramide, e base
     Eran cadute! quanto parean brutte
     A veder sotto rimase la notte
     Quelle gente arrostite come bòtte!