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386 il morgante maggiore.

202 Ma poi ch'e’ giunse appiè della montagna,
     A quella fonte ove Rinaldo aspetta,
     Di più misere lacrime si bagna,
     E come morto da caval si getta;
     Abbraccia Orlando, e quanto può si lagna,
     E dice: O alma giusta e benedetta,
     Ascolta almen dal ciel quel ch’io ti dico,
     Perchè pur ero il tuo signor antico.

203 Io benedico il dì che tu nascesti,
     Io benedico la tua giovinezza,
     Io benedico i tuoi concetti onesti,
     Io benedico la tua gentilezza;
     Io benedico ciò che mai facesti,
     Io benedico la tua gran prodezza,
     Io benedico l’opre alte e leggiadre,
     Io benedico il seme del tuo padre.

204 E chieggo a te perdon, se mi bisogna,
     Perchè di Francia tu sai ch’io ti scrissi,
     Quando tu eri crucciato in Guascogna,
     Che in Roncisvalle a Marsilio venissi
     Col conte Anselmo e ’l signor di Borgogna;
     Ma non pensavo, omè, che tu morissi,
     Quantunque giusto guidardon riporto,
     Chè tu se’ vivo, ed io son più che morto.

205 Ma dimmi, o figliuol mio, dove è la fede,
     Al tempo lieto già data ed accetta?
     O se tu hai di me nel ciel merzede,
     Come solevi al mondo, alma diletta,
     Rendimi, se Iddio tanto ti concede,
     Ridendo quella spada benedetta,
     Come tu mi giurasti in Aspramonte,
     Quando ti feci cavaliere e conte.

206 Come a Dio piacque, intese le parole,
     Orlando sorridendo in piè rizzossi
     Con quella reverenzia che far suole,
     E innanzi al suo signore inginocchiossi;
     E non fia maraviglia, poi che il Sole
     Oltre al corso del ciel per lui fermossi:
     E poi distese, ridendo, la mana,
     E rendègli la spada Durlindana.