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360 il morgante maggiore.

72 Era tanto il terror ch’avean d’Orlando
     I Saracin, che assai fuggiti sono
     Per la campagna e per le selve, quando
     Sentito fu questo terribil suono:
     Dice Turpin, che per l’aria volando
     Molti uccelli stordirono a quel tuono;
     E maraviglia non fu Carlo udissi,
     Chè si pensò che la terra s’aprissi.

73 Or quel che fece allo estremo Rinaldo,
     Non ardisce narrar più la mia penna,
     Che pareva un serpente irato in caldo;
     E questo, e l’altro, e poi quello scotenna,
     E ributtava quel popol ribaldo,
     E non sapea del marchese di Vienna:
     E rompe, e fiacca, e sdruce, e smaglia, e straccia,
     E con gran furia innanzi se gli caccia.

74 Baiardo ritto le zampe menava,
     E come l’orso fa scostare i cani;
     Talvolta un braccio o la coscia ciuffava,
     E sgretola quell'ossa de’ Pagani,
     Come pan fresco che allotta si cava:
     Non fur tanto crudel mai tigri ircani:
     Con tanta rabbia mordeva e dimembra,
     Tanto che Ecuba forsennata sembra.

75 E Ricciardetto facea cose ancora,
     Che l’autor, che le vide, nol crede:
     Egli avea fatto pel campo una gora:
     Beato a chi potea studiare il piede,
     Chè non uccide, anzi proprio divora:
     Non fe’ Pirrato di bestie mai prede
     Qual fa costui de’ Saracini il giorno,
     Tanto ch’ognun gli spariva dintorno.

76 Dicemi alcun che la storia compila,
     Tra Rinaldo, e Baiardo, e Ricciardetto,
     Che n’uccison quel dì ben trenta mila:
     Non so s’è vero o falso, io l’ho pur detto:
     Pensa che Orlando n’uccise una fila,
     E Ulivieri, Anselmo e Sansonetto;
     Ma la spada del ciel qui mi bisogna,
     Chè a torto il ver non riporti vergogna.