52 E’ ci farà stentar prima che muoia:
Non gli ha Rinaldo ancor forbito il muso,
Che noi portian giù l’anima e le cuoia?
O Ciel, tu par questa volta confuso!
O battaglia crudel, qual Roma o Troia!
Questa è certo più là ch’al mondano uso.
Il Sol pareva di fuoco sanguigno,
E così l’aria d’un color maligno.
53 Credo ch’egli era più bello a vedere
Certo gli abissi il dì, che Roncisvalle:
Chè Saracin cadevon come pere,
E Squarciaferro gli portava a balle;
Tanto che tutte le infernal bufere
Occupan questi, ogni roccia, ogni calle
E le bolge, e gli spaldi, e le meschite,
E tutta in festa è la città di Dite.
54 Lucifero avea aperte tante bocche,
Che pareva quel giorno i corbacchini
Alla imbeccata, e trangugiava a ciocche
L’anime che piovean de’ Saracini,
Che par che neve monachina6 fiocche,
Come cade la manna a’ pesciolini:
Non domandar se raccoglieva i bioccoli,
E se ne fece gozzi d’anitroccoli.
55 E’ si faceva tante chiarentane,7
Che ciò ch’io dico è disopra una zacchera:
E non dura la festa mademane,
Crai, e poscrai,7a e poscrillA, e posquacchera,
Come spesso alla vigna le romane;
E chi sonava tamburo, e chi nacchera,
Baldosa, e cicutrenna, e zufoletti,
E tutti affusolati gli scambietti.
56 E Roncisvalle pareva un tegame
Dove fussi di sangue un gran mortito,
Di capi, e di peducci, e d’altro ossame,
Un certo guazzabuglio ribollito,
Che pareva d’inferno il bulicame,
Che innanzi a Nesso non fusse sparito;
Il vento par certi sprazzi avviluppi
Di sangue in aria con nodi e con gruppi.