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356 il morgante maggiore.

52 E’ ci farà stentar prima che muoia:
     Non gli ha Rinaldo ancor forbito il muso,
     Che noi portian giù l’anima e le cuoia?
     O Ciel, tu par questa volta confuso!
     O battaglia crudel, qual Roma o Troia!
     Questa è certo più là ch’al mondano uso.
     Il Sol pareva di fuoco sanguigno,
     E così l’aria d’un color maligno.

53 Credo ch’egli era più bello a vedere
     Certo gli abissi il dì, che Roncisvalle:
     Chè Saracin cadevon come pere,
     E Squarciaferro gli portava a balle;
     Tanto che tutte le infernal bufere
     Occupan questi, ogni roccia, ogni calle
     E le bolge, e gli spaldi, e le meschite,
     E tutta in festa è la città di Dite.

54 Lucifero avea aperte tante bocche,
     Che pareva quel giorno i corbacchini
     Alla imbeccata, e trangugiava a ciocche
     L’anime che piovean de’ Saracini,
     Che par che neve monachina6 fiocche,
     Come cade la manna a’ pesciolini:
     Non domandar se raccoglieva i bioccoli,
     E se ne fece gozzi d’anitroccoli.

55 E’ si faceva tante chiarentane,7
     Che ciò ch’io dico è disopra una zacchera:
     E non dura la festa mademane,
     Crai, e poscrai,7a e poscrillA, e posquacchera,
     Come spesso alla vigna le romane;
     E chi sonava tamburo, e chi nacchera,
     Baldosa, e cicutrenna, e zufoletti,
     E tutti affusolati gli scambietti.

56 E Roncisvalle pareva un tegame
     Dove fussi di sangue un gran mortito,
     Di capi, e di peducci, e d’altro ossame,
     Un certo guazzabuglio ribollito,
     Che pareva d’inferno il bulicame,
     Che innanzi a Nesso non fusse sparito;
     Il vento par certi sprazzi avviluppi
     Di sangue in aria con nodi e con gruppi.