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336 il morgante maggiore.

109 Da poi in qua ch’io uccisi Donchiaro,
     Non mi potè mai più bene incontrare:
     Nè creder tu che mi fusse già caro,
     Ma il mio signor mi potea comandare;
     Forse quel sangue innocente sì claro
     Vendetta debbe or nel Cielo esclamare,
     Il qual con Carlo ha conceputo sdegno,
     Chè assai dato gli avea d’onore e regno.

110 Credo, Rinaldo mio, s’io non m’inganno,
     Ch’oggi tutti morremo in questa valle,
     Benchè tanti Pagan prima morranno,
     Che sempre si dirà di Roncisvalle.
     Disse Rinaldo: Non ti dar più affanno,
     Ecco Marsilio che t’è già alle spalle,
     Con tutto il popol di Serse e di Dario;
     Non c’è più tempo a tanto corollario.

111 Marsilio a Bianciardino aveva detto,
     Poi ch’egli scese con sua gente al piano:
     O Bianciardin, tu m’hai messo sospetto,
     Io non lo intendo questo caso strano;
     Orlando è là con la mia gente appetto;
     Rinaldo so ch’è in paese lontano,
     Ed al presente si truova in Egitto
     Con Ricciardetto: così Gan m’ha scritto.

112 Rispose Bianciardin: Qua son venuti
     Due cavalier valenti e bene armati,
     E benchè molto gli abbiam combattuti,
     Per forza son tra la schiera passati
     E dispariti, e poi non gli ho veduti;
     Credo che sieno diavoli incantati:
     Chè l’uno e l’altro è paruto invisibile,
     E fatto han quel che non parea possibile.

113 E’ si vedea sempre in alto le mane
     E in modo le percosse spesseggiare,
     Che sonavano a doppio due campane:
     Io vidi intorno a questi un cerchio fare,
     E seguir cose che non sono umane,
     Chè si sentì una spada fischiare
     D’un certo manrovescio tondo e giusto,
     Che a venti il capo levò dall'imbusto.