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312 il morgante maggiore.

329 Ed un uccel, che di state si vede
     Dopo la pioggia, si chiama Driaca,
     Che la natura creò sanza piede;
     Ed Atilon, che gridando s’indraca
     Drieto alla volpe; se l’asino vede,
     Amico il segue, e con esso si placa:
     Bistarda è grave; e dir non ne bisogna,
     Chè, come vil, si pasce di carogna.

330 Non so se del Calandro udito hai dire,
     Il qual, posto all’infermo per obbietto,
     Si volge indrieto, se quel dee morire;
     Così al contrario pel contrario effetto;
     Ibor come caval s’ode annitrire;
     Luce Licidia, un pulito uccelletto,
     Tanto che quasi carbonchio par sia,
     Sì che di notte dimostra la via.

331 Incendola, col gufo combattendo,
     Vince il dì lei, e il gufo poi la notte:
     Ma sopra tutto Porfirio commendo,
     Un certo uccel che non teme di gotte;
     Chè ciò che piglia lo mangia bevendo,
     Sì ch’e’ vuol presso la madia e la botte;
     L’un piè par d’oca, perch’e’ nuota spesso,
     E l’altro con ch’e’ mangia, è tutto fesso.

332 Or s’io volessi de’ pesci contare
     E tante forme diverse narralle,
     Sarebbe come in Puglia annumerare
     Le mosche, le zenzare e le farfalle;
     Io veggo la battaglia apparecchiare,
     E non saremo a tempo in Roncisvalle.
     Or lasciam questi così ragionando:
     Cristo ci scampi, se si può, Orlando.




NOTE.


51. tarabuso. È il tarabuso un uccel di padule che ha il collo lunghissimo e il becco lungo, auzzo, grosso e tagliente, il quale quando e’ mette nell’acqua fa così gran romore che sembra il muggito d’un toro. È lo stesso che l’ardea stallaria. Con tutto questo discorso il Poeta vuol si-