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canto decimottavo 27

129 Ciò ch’io ti dico non va insino all’effe,
     Pensa quand’io sarò condotto al rue:
     Sappi ch’io aro,21 e non dico da beffe,
     Col cammello, e coll’asino, e col bue;
     E mille capannucci e mille gueffe22
     Ho meritato già per questo o piue;
     Dove il capo non va,23 metto la coda,
     E quel che più mi piace è ch’ognun l’oda.

130 Mettimi in ballo, mettimi in convito,
     Ch’io fo il dover co’ piedi e colle mani;
     Io son prosuntuoso, impronto, ardito,
     Non guardo più i parenti, che gli strani;
     Della vergogna io n’ho preso partito,
     E torno a chi mi caccia, come i cani;
     E dico ciò ch’io fo per ognun sette,
     E poi v’aggiungo mille novellette.

131 S’io ho tenute dell’oche in pastura24
     Non domandar, ch’io non te lo direi;
     S’io ti dicessi mille alla ventura,
     Di poche credo ch’io ti fallirei;
     S’io uso fra le donne per sciagura,
     S’elle son cinque, io ne corrompo sei:
     Ch’io le fo in modo diventar galante,
     Che non vi campa nè balia nè fante.

132 Or queste son le mie virtù morale,
     La gola, e ’l bere, e ’l dado ch’io t’ho detto;
     Odi la quarta, ch’è la principale,
     Acciò che ben si sgoccioli il barletto:25
     Non vi bisogna uncin nè porre scale.
     Dove con mano aggiungo, ti prometto;
     E mitere da papi ho già portate,26
     Col segno in testa, e drieto le granate.

133 E trapani, e paletti, e lime sorde,
     E succhi d’ogni fatta, e grimaldelli,
     E scale o vuoi di legno o vuoi di corde,
     E levane, e calcetti di feltrelli
     Che fanno, quand’io vo', ch’ognuno assorde,
     Lavoro di mia man puliti e belli:
     E fuoco che per sè lume non rende,
     Ma con lo sputo a mia posta s’accende.