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canto ventesimoquinto. 291

224 Disse Rinaldo: O mio gentil Baiardo,
     Tu non avesti ancor giammai vergogna;
     Or ti cognosco se sarai gagliardo:
     O Astarotte, andar qui ci bisogna
     Di salto in salto come il leopardo,
     Che forse ancor fia scritto per menzogna.
     Disse Astarotte: Non temer, Rinaldo,
     Attienti in su la sella, e sta pur saldo.

225 Era Baiardo fier di sua natura,
     E se non fusse anco Astarotte in quello,
     Saltato arebbe, e non are’ paura
     A trattar l’aria come lieve uccello;
     E cominciò quanto la terra è dura,
     Come 'l gru per levarsi o altro uccello
     A trottar, poi si chiudea di gualoppo
     Poi si levò, che non pareva zoppo.

226 Vedestu mai, lettor, di salto in salto
     Il pesce in mar, per ischifare il gurro?
     Così questo caval; ma va su alto,
     Da dir: Fetonte più basso ebbe il curro;
     Da creder prima che torni allo smalto,
     Che tocchi l’air dove e’ pare azzurro:
     Credo che Giuno ebbe paura e sdegno,
     E dubitassi del suo scettro o regno.

227 Passato il fiume Bagrade, ch’io dico,
     Presso allo stretto son di Gibilterra,
     Dove pose i suoi segni il Greco antico
     Abila e Calpe, a dimostrar ch’egli erra,
     Non per iscogli o per vento nimico,
     Ma perchè il globo cala della Terra,
     Chi va più oltre, e non truova poi fondo,
     Tanto che cade giù nel basso Mondo.

228 Rinaldo allor ricognosciuto il loco,
     Perchè altra volta l’aveva veduto,
     Dicea con Astarotte: Dimmi un poco,
     A quel che questo segno ha proveduto.
     Disse Astaròt: Un error lungo e fioco,
     Per molti secol non ben conosciuto,
     Fa che si dice d’Ercul le colonne,
     E che più là molti periti sonne.