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canto ventesimoquinto. 279

164 Disse il diavol: Ricciardetto ha seco,
     Per quel ch’io veggo, un leggiadro cavallo
     Che gliel donò lo imperator là greco,
     E non vorrebbe a ’gnun modo lasciallo;
     Però, se in groppa a Baiardo lui reco,
     Questo destrier non potre’ seguitallo:
     Ma per servirti ho pensato il rimedio.

165 Io dirò per tua parte a Rubicante
     Che porti Ricciardetto, o a Farferello,
     Che tentano un signor là di Levante
     Perchè e’ voleva battezzarsi quello:
     Tu se’ tanto famoso nigromante,
     Che sanza mostrar libro o altro anello,
     Per compiacerti, dello infernal chiostro
     Verrebbe Belzebù principe nostro.

166 Disse Malgigi: Se non vien costretto,
     Potrebbe questo spirito ingannarmi,
     E gittare in un fiume Ricciardetto;
     Dimmi, Astarotte, s’io posso fidarmi.
     Disse Astarotte: Non aver sospetto,
     Non ti bisogna adoperare altr’armi;
     E nota una parola, che ignun saggio
     Non fa mai cosa a suo disavvantaggio.

167 Tu potresti cacciarlo in qualche tomba,
     Ma non bisogna, chè ti stima ed ama,
     Tanto il tuo nome giù fra noi rimbomba;
     E vuolsi in ogni loco amici e fama.
     Poi si partì, che parve d’una fromba
     Quando il sasso esce, che per l’aria esclama;
     Anzi folgore proprio par che fosse;
     E la terra tremò, quando e’ si mosse.

168 Or lasciam Astatte andar per l’aria,
     Che questa notte troverrà Rinaldo:
     La nostra istoria è sì fiorita e varia,
     Ch’i’ non posso in un luogo star mai saldo;
     E non sia altra oppinion contraria,
     Chè troppe belle cose dice Arnaldo;
     E ciò che dice, il ver con man si tocca,
     Che mai bugia non gli esce di bocca.