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canto ventesimoquinto. 267

104 E che con le sue man l’angiol Michele
     Gli cinse quella spada Durlindana,
     E fecel cavalier di Dio fedele,
     Che difendessi la fede cristiana;
     Benchè alcun dica, più dolce che méle,7
     Che fu san Giorgio e la Fata Morgana:
     Ma credi qualche cosa sia di questo,
     Perchè la pruova lo fa manifesto.

105 Orlando è uom che non are’ paura
     Di Marte, se venisse con sua insegna,
     E farà cose il dì sopra natura,
     Ch’animo cesareo nel suo cor regna;
     Ed anche ci bisogna aver qui cura
     A Ulivier, ch’io credo con lui vegna,
     Ed arà seco forse il conte Anselmo,
     Che miglior cavalier non s’allaccia elmo.

106 Però secento mila combattenti
     De’ miglior della Spagna ti bisogna:
     E non sia ignun che consigli altrimenti,
     Ch’Orlando so ti farebbe vergogna:
     Parmi da far certi provedimenti,
     E non ti paia cosa che si sogna;
     Chè chi vuol quelle gente pigliar tosto,
     Come le pecchie gli pigli col mosto.

107 Però si mandi innanzi caricati
     Di vino e vettovaglia assai cammelli,
     Che come e’ fieno un poco riscaldati,
     Al primo assalto vinceranno quelli;
     Tanto che i primi Pagan fien tagliati,
     Poi torneranno di leoni agnelli;
     Pur la seconda schiera fia ancor rotta:
     La terza, no: tu vincerai allotta.

108 Ma fa’ che in Roncisvalle sien per tempo,
     Prima che ignun la corazza s’affibbi,
     Chè non aram così d’armarsi tempo,
     E sconteranno e datteri e’ zibibbi;
     Chè se le cose si faranno a tempo,
     Gli uomini son sanza arme come nibbi:
     Salvo ch’Orlando e’ paladin faranno
     Cose che scritte non si crederranno.