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canto ventesimoquinto. 247

4 Abbraccia Orlando poi quel fraudolente,
     E innanzi che la pace si conchiuda,
     Lo domandò, se gli avea a dir niente,
     Che gli scrivessi; e trafelava e suda,
     Tante abbracciate fa viziatamente;
     Poi baciò Ulivier come fe’ Giuda,
     Ed appiccossi com’una mignatta,
     E disse: Questa sia per pace fatta.

5 Sorrise, e disse fra sè il Borgognone:
     O rabi, ave. Io so che tu ne menti.
     Il duca Namo, e ’l savio Salamone,
     Ottone, e gli altri parean malcontenti;
     Ed ebbon sempre ferma opinione,
     Che Gan pensassi a nuovi tradimenti:
     Ed avean detto il lor parere a Carlo,
     Che non dovessi a 'gnun modo mandarlo.

6 Ma benchè questa andata ognun pur danni,
     Lo imperator non vi ponea l’orecchio;
     Chè quando egli è barbato per molti anni,
     Convien che molto possi un error vecchio;
     E par di sè medesimo s’inganni,
     Chi s’è sempre veduto in uno specchio:
     Era il tempo venuto al tristo pianto,
     Che Malagigi avea predetto tanto.

7 Pareva a Carlo a suo modo dipingere
     Un uom, com’era Gan, da queste pratiche,
     Da saper ben dissimulare e fingere,
     Dove a trattar s’avea cose rematiche;
     E ’l traditor si faceva sospingere,
     Mostrando omai che gli pesi le natiche,
     Ch’era pur vecchio e molto cagionevole;
     Sì che la scusa parea ragionevole.

8 E dicea: Manda il figliuol di Milone,
     A trattar queste cose della Spagna,
     Ch’a lui più crederrà Marsilione.
     E non dicea dove sta la magagna,
     Che questo tordo avea bianco il groppone,
     Da rimanere alla pania o la ragna;
     Cioè prigion da non lasciare in fretta:
     E mostrògli più volte la civetta.