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canto ventesimoquarto. 243

169 E Malagigi avea di nuovo fatto
     L’arte, e sapea ciò che diceva Gano,
     E dicea con Orlando: O Carlo matto,
     Chè non si può chiamar più Carlo Mano,
     Tutti sarete mal contenti un tratto;
     E così fu dello imperio troiano,
     Poi che l’ultimo termin fu venuto,
     Che non era a Cassandra il ver creduto.

170 Orlando aveva nel suo petto sdegno,
     Chè Carlo mille volte gli ha promesso
     Di coronarlo, e dargli stato e regno;
     Ma come Ganellon gli stava appresso,
     Così sempre era rotto ogni disegno,
     E non parea che fussi più quel desso:
     Sì che non val Malagigi riveli,
     Chè tutti siam governati da’ cieli.

171 Falseron con Orlando un giorno disse,
     Ch’avea pur voglia rivedere Antea
     E ’l campo, pria che di Francia partisse;
     E che con seco pensato già avea,
     Che sare’ ben che con esso lui gisse
     E ’l conte Gan, se così gli parea,
     Ed Ulivieri; e così s’accordorno,
     E tutti inverso del campo n’andorno.

172 Venne Antea incontro, come questo intese,
     Chè Falserone er’uom d’alta eccellenzia,
     E salutollo, e del cavallo scese;
     E rimontata, con gran reverenzia
     Saluta Gano, ed Orlando, e ’l Marchese;
     Poi gli menò per più magnificenzia
     Pel campo a spasso a lor consolazione,
     Poi a vedere un ricco padiglione.

173 Il padiglione era una cosa magna,
     E drento v’era il caso istoriato
     Del Veglio: come e’ fu quella montagna
     Ch’addosso al padre è col caval cascato;
     E come Babillona ancor si lagna,
     E come v’era Morgante arrivato,
     E col battaglio guastava la terra;
     E come Orlando gli mosse la guerra.